Categoria: Consigli di lettura

Le notti della peste

Le notti della peste

LE NOTTI DELLA PESTE – EINAUDI – ORHAN PAMUK

di Giuseppe Santilli

Libro per settembre

Dopo un periodo di inattività, nel quale non abbiamo scritto recensioni, ma abbiamo letto molto, torniamo con un libro per Settembre.

I giornali, le riviste e i siti son pieni di consigli di letture per l’estate, spesso letture giustamente distratte. Noi vogliamo superare l’estate e proporre una lettura per il mese della riflessione.

Orhan Pamuk
Orhan Pamuk

Un’opera complessa

Diciamo subito che il libro di Pamuk è un’opera complessa che contiene molti temi intrecciati.

Innanzitutto è un romanzo storico, anche se ambientato su un’isola immaginaria di nome Mingher, e che quindi mescola eventi storici con temi di pura letteratura da romanzo. Del resto l’autore, premio Nobel per la letteratura nel 2006, è uno studioso appassionato di storia. Questo intreccio, sapientemente modulato, costringe il lettore a salti concettuali, a seguire i registri narrativi diversi che si alternano e a volte coesistono, a volte si intersecano.

Il punto di vista storico

Orhan Pamuk
Orhan Pamuk

Dal punto di vista storico è un libro, ambientato all’inizio del novecento, ha come asse centrale la dissoluzione dell’impero ottomano. Si narra il lento declino di una burocrazia e di un potere ancorati a canoni vecchi, a un mondo che non c’è più. Un racconto del graduale cedere il passo alle democrazie di tipo europeo da parte dei residui dell’impero romano d’oriente. Ma anche una narrazione sulla nascita del nazionalismo, come opposizione alle politiche coloniali, il suo portato illusoriamente rivoluzionario e, con malcelata ironia, la descrizione delle ingenuità, delle pretese isolazioniste e identitarie fondate su una visione culturale ristretta e claustrofobica.

Copertina Gallimard
Copertina Gallimard

Questo romanzo è contemporaneamente un trattato sugli antagonismi etnici e religiosi. Affronta la difficile convivenza, anche per le ricadute sociali, dei cattolici e dei mussulmani. Particolarmente efficace è l’analisi delle pratiche legate alla stretta osservanza della religione di Maometto, alla subalternità femminile in esse radicata, unitamente al rifiuto della scienza e della conoscenza della realtà che, come è noto, presuppone un approccio laico.

La peste

Orhan Pamuk
Orhan Pamuk

Naturalmente si parla di peste e di quarantena come espediente, almeno così sembra, per parlare della pandemia da Covid che abbiamo vissuto dal 2020 alla fine del 2022. Si parla della difficoltà del potere di fare i conti con l’emergenza sanitaria, con la quarantena, della dicotomia che separa il bene pubblico dalla politica attenta prevalentemente al consenso immediato. Temi di scottante attualità, collocati in un epoca lontana, con il distacco insito in una prospettiva storica (per lo più consapevolmente apparente).

Un’opera monumentale di circa settecento pagine che vale la pena di affrontare, perché alla fine del viaggio, a volte faticoso, ci si ritrova immensamente più ricchi.

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La vita intima

La vita intima

LA VITA INTIMA – EINAUDI – NICCOLO’ AMMANITI

di Giuseppe Santilli

E’ TORNATO

Ammaniti è tornato. Dopo otto anni dal suo ultimo romanzo “Anna” ( dal quale nel 2021 è stata tratta una bellissima serie televisiva, curata tra gli altri, dallo stesso Ammaniti), è tornato con questa storia che per alcuni aspetti è nel solco dell’autore, per altri è completamente innovativa.

Anna copertina
Anna copertina

IL MARCHIO DI FABBRICA

Chi si aspetta la cattiveria dei primi testi rimarrà deluso. Rimarrà deluso quanto chi si aspetta l’horror visionario di Anna. Ci sono dei tratti che rappresentano il marchio di fabbrica: lo stile sciolto, la scrittura scorrevole , quasi felice; l’uso diffuso di una ironia tagliente; l’utilizzo consapevole di espedienti narrativi che esasperano ed esagerano le situazioni.

Della continuità con l’opera precedente, a titolo esemplificativo ne è testimonianza la descrizione di uno dei protagonisti del romanzo, Nicola Sarti.

Ha difronte l’ennesimo narcisista che cerca di impressionarla come farebbe un igenista dentale. E’ un bell’uomo, ma oggi è più ciancicato e sembra che si lavi poco. La stempiatura gli si allunga oltre la fronte . un filo di barba gli sale in alto sulle guance. E’ un misto tra un hippie di Formentera e un dirigente della Vodafone. Si trascina ancora dietro gli anni novanta. I Guns N’ Roses devono avergli affondato gli artigli nel cuore, lo dimostra l’abbigliamento di marca sdrucito ad arte, la chincaglieria sui polsi, il Rolex, il pacchetto di Lucky Strike sul tavolo a cinquant’anni suonati.” ( La vita intima – pag,190).

Ammaniti
Ammaniti

LA LEGGEREZZA DELL’APPARIRE

Questo Ammaniti affronta con leggerezza il tema del vuoto che si cela dietro l’apparire mediatico e che comporta l’affannosa ricerca, in privato, del senso della propria vita. La leggerezza è rappresentata da un io narratore, fuori campo, che forse è la parte migliore del libro. Esprime equilibrio di giudizio rifuggendo da moralismi e da accenti melodrammatici. Riesce a farci capire che anche nella frivolezza c’è sofferenza, soprattutto quando l’apparire ha un rapporto dicotomico con la realtà. “ La paura finisce dove comincia la verità.”

Ammaniti
Ammaniti

LA STORIA

La storia è quella di Maria Cristina, bella (in una classifica risulta essere la donna più bella del mondo), ricca e famosa (è la moglie del Presidente del Consiglio). Una vita, si direbbe felice, all’ombra degli uomini ( prima del presidente aveva sposto uno scrittore di fama). Tuttavia un video porno che viene dal passato, per mano di un suo vecchio fidanzato, ne sconvolge l’esistenza e la porta a riconsiderare la propria vita intima. Nella mente e nel corpo di Maria Cristina si riaffacciano i desideri e con essi una personalità che è stata per tanto tempo repressa e compressa.

Non sappiamo dire se questo libro sia all’altezza degli altri (Branchie, io non ho paura, Anna. Tre libri bellissimi). Tuttavia la sua diversità testimonia che Ammaniti non è come quei cantautori che nella loro vita scrivono per trent’anni (mutatis mutandi) la stessa canzone. Il suo repertorio è vasto e finirà per stupirci.

Ammaniti
Ammaniti

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Omicidio a Mizumoto park

Omicidio a Mizumoto park

OMICIDIO A MIZUMOTO PARK – PIEMME – TETSUYA HONDA

di Giuseppe Santilli

Finalmente tradotto e pubblicato in Italia per i tipi di Piemme, “Omicidio a Mizumoto Park” di Tetsuya Honda. Si tratta del primo racconto della serie che ha come protagonista la giovane detective della sezione omicidi di Tokio: Reiko Himekawa.

Honda, nato nel 1969, è uno dei maggiori scrittori giapponesi viventi. Le sue opere sono state tradotte in numerose lingue e sono state ispirazione per diversi film.

Tetsuya Honda
Tetsuya Honda

LA STORIA

La storia si sviluppa attorno al ritrovamento di un corpo di un uomo, avvolto in un sacco di plastica blu, abbandonato in un posto affatto nascosto, quasi si volesse farlo ritrovare in fretta. Ma questo è solo l’incipit di un noir mozzafiato, ricco di sorprese e di svolte inaspettate nella direzione delle indagini.

Anche qui, come nell’ultimo giallo di Alicia G. Bartlet , la protagonista è una giovane donna, scelta non casuale. In effetti una delle tante anime del racconto è la contrapposizione tra l’intuito (femminile) e la razionalità (maschile). Una contrapposizione dialettica, che tende ad affermare, pur nel conflitto, la dimensione della complementarità.

LA VITA E’ UNA SOLA

Dal punto di vista stilistico, la cosa che colpisce di più del modo di raccontare di Honda, è la naturalezza con cui riesce a far convivere elementi puri del noir, con elementi narrativi propri della storia e della dimensione personale dei protagonisti. La vita è una sola, sembra voler dire.

Sul versante privato dei protagonisti, è di particolare interesse la ricerca scrupolosa delle motivazioni, delle diverse motivazioni, che spingono poliziotti e criminali ad agire. Sono le stesse motivazioni per le quali si è portati a vivere o a morire in una certa maniera, secondo certi valori.

Nel caso di Reiko, che è stata stuprata quando era molto giovane, la scelta di entrare in polizia è dettata dalla morte della detective che indagava sul suo caso e che l’ha aiutata a non mollare ed uscire dall’incubo.

Tetsuya Honda
Tetsuya Honda

LA VIOLENZA

La violenza subita da Reiko per mano di uno stupratore seriale ha uno spazio importante nell’economia del racconto. Non solo chiarisce la fonte motivazionale della protagonista, ma assume i toni dimostrativi della seconda violenza che le donne debbono subire in fase processuale.

Le domande del difensore dello stupratore e la teoria dell’atto consensuale sono esemplari. Ma …

Reiko aveva ritrovato la fiducia. – Il fatto che non avessi graffi non significa che il rapporto sia stato consensuale. Quell’uomo mi teneva un coltello alla gola. Con l’altra mi tappava la bocca. Ho scelto di non opporre resistenza perché ero terrorizzata, avevo paura che mi facesse ancora più male, che mi pugnalasse. Sottomettersi non equivale ad acconsentire……Reiko aveva sentito in lontananza il giudice, la stava rimproverando. Anziché dagli ascolto, però, lei aveva continuato ad arringare l’avvocato della difesa. Lei è sposato? O ha una fidanzata? Una sorella? Mi dica, se fossero loro le vittime, le sarebbe ancora a lì a blaterare di consenso? Ce la fa a guardarmi negli occhi?…-” (Omicidio a Mizumoto Park, pag. 194).

Terminata la lettura di questo libro ti trovi a pensare che non esistono i generi letterari. Esistono la semplice scrittura e la letteratura. E questa di Honda è letteratura.

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La presidente

La presidente

LA PRESIDENTE- SELLERIO- ALICIA GIMENEZ-BARTLETT

di Giuseppe Santilli

Alicia Gimenez-Bartlet
Alicia Gimenez-Bartlet

LA STORIA

La presidente della comunità valenciana muore avvelenata in un albergo della capitale spagnola. Le autorità decidono di comunicare alla stampa come causa della morte, arresto cardiaco. Parallelamente affidano le indagini a due giovani ispettrici di polizia appena uscite dall’accademia, con l’intento di nascondere per sempre la verità. Si tratta delle sorelle Miralles, Berta e Marta, inesperte ma ambiziose e combattive. Soprattutto motivate, due donne giovani che si muovono in un mondo corrotto, maschilista e degradato. La loro faticosissima indagine alla fine riesce ad identificare i colpevoli, nonostante il resto della polizia, con l’eccezione di un paio di colleghi, lavori per farla fallire.

Petra Delicado
Petra Delicado

IL FUTURO E’ DELLE GIOVANI DONNE

Con questo giallo Alicia Gimenez Bartlett sospende la serie che vede protagonista la famosissima Petra Delicado, per disegnare il profilo di due giovani donne poliziotto. L’equilibrio e la bellezza del racconto si snoda prevalentemente attorno al rapporto tra le due sorelle, quasi a significare che le donne, se unite, se collaborano, riescono vincenti. Il futuro è delle giovani donne. C’è molta solidarietà in questo rapporto, ma anche molta dialettica. Berta ha un carattere serio, responsabile indurito dalla fine di una storia d’amore con uomo più grande di lei. Marta, la più giovane ha un carattere spensierato, disinvolto, pronta a godersi la vita.

Alicia Gimenez-Bartlet
Alicia Gimenez-Bartlet

IL MOTORE DELLA CURIOSITA’

L’elemento stilistico rimane quello usuale della Bartlett. Una scrittura scorrevole, apparentemente d’uso quotidiano con dentro tanta raffinata ironia. Tuttavia in questo racconto l’elemento distintivo, innovativo per certi aspetti, è proprio rappresentato dalla giovane età delle protagoniste e dal loro essere donne. La scrittrice le disegna con tratti impegnati ma modernamente disincantati. La lotta alla corruzione non è supportata da un importante apparato morale o dalla pretesa di cambiare il mondo. Piuttosto la motivazione è da ricercare nel desiderio di rivalsa in quanto giovani e donne e dalla curiosità quasi morbosa di scoprire come sono andate le cose.

C’è da scommettere, anche per il finale aperto della storia, che le avventure di Berta e Marta continueranno.

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Mussolini il capobanda

Mussolini il capobanda

MUSSOLINI IL CAPOBANDA – MONDADORI – ALDO CAZZULLO

di Giuseppe Santilli

In questo periodo ho letto diversi romanzi, ma il libro che mi ha maggiormente colpito, anche da un punto di vista emozionale, è questo saggio di Aldo Cazzullo su Mussolini ed il fascismo, anzi su Mussolini ed i fascisti.

LA TESI DEL LIBRO

In realtà non si tratta propriamente di un saggio, piuttosto del racconto, della cronaca dei crimini compiuti dai fascisti a partire dal loro capo. Il racconto storico/politico non può prescindere, in questo caso, dal resoconto di fatti singoli che svelano la vera natura criminale del fascismo, che ha conquistato e mantenuto il potere attraverso un uso sistematico della violenza, fino all’omicidio. Questa è la tesi di fondo del libro.

L’INCIPIT: UNA BANDA DI DELINQUENTI

Cent’anni fa, in questi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo. Un uomo capace di tutto, persino di far chiudere e morire in manicomio il proprio figlio e la donna che lo aveva messo al mondo. Oggi in Italia ci sono gli estimatori di Mussolini, pochi ma non pochissimi. Troppi. Poi ci sono gli antifascisti convinti: molti ma non moltissimi. E poi c’è la maggioranza. Che crede, o a cui piace credere, in una storia immaginaria, consolatoria, autoassolutoria. “ Il libro inizia programmaticamente così.

Aldo Cazzullo
Aldo Cazzullo

IL FASCISMO E LA CONTINUITA’ NELLE ISTITUZIONI REPUBBLICANE

Nella parte finale dello scritto, quella che comunemente viene definita come l’eredità del fascismo, viene approfondita: la maggioranza degli Italiani non sono fascisti ma non sono neanche antifascisti, sulla base di una storia edulcorata, di comodo, orientata a relativizzare il fascismo e a presentarlo fondamentalmente come un movimento politico, un’ideologia e una pratica a volte un po’ maldestra.

Questo saggio di Cazzullo spazza via in maniera definitiva una narrativa che minimizza e riduce a folclore il fascismo. Ma i meriti di questo libro vanno ben oltre.

Innanzitutto rende evidente che la continuità tra lo stato fascista e il primo apparato repubblicano non ha trovato soluzione di continuità generale nello stato democratico. In esso coesistono anche oggi, accanto alle rappresentanze democratiche, istanze post-fasciste che affondano le loro radici nel fascismo criminale del Duce. A volte questa continuità è anche fisica. Si pensi ad esempio alla figura di Almirante, allo squadrismo fascista, agli eredi nostalgici del Movimento Sociale la cui storia si richiama espressamente alla Repubblica di Salò. Questo spiega, a mio avviso, perché alcuni personaggi che ricoprono attualmente alte cariche dello Stato, dichiarano di non voler festeggiare il 25 aprile.

I LUOGHI COMUNI

Cazzullo, poi, demolisce uno a uno i luoghi comuni su Mussolini e il fascismo: ha fatto anche cose buone, ha favorito la crescita demografica, le leggi razziali son state poco applicate, ha avuto un seguito di massa, ecc. In realtà le bonifiche non sono attribuibili solo al periodo fascista e in quel periodo sono morti centinaia di operai di stenti e di malaria. La crescita demografica non c’è stata. La repubblica di Salò ha avuto un ruolo fondamentale nella deportazione degli ebrei Italiani, e gli ebrei, in precedenza erano stati esclusi da tutte le istituzioni pubbliche e persino dalle aziende private. Per quanto riguarda il seguito di massa, fenomeno ben descritto da De felice, non bisogna dimenticare la coercizione operata con tutti i mezzi, pervasiva, fino al punto di non avere diritti, spesso neanche quello di vivere, se non eri fascista.

Aldo Cazzullo
Aldo Cazzullo

DIGNITA’ PER TUTTE LE VITTIME

Tuttavia il merito maggiore di Cazzullo e quello di aver documentato e descritto, fino alla noia, uno per uno, gli omicidi, le vessazioni, le violenze perpetrate da Mussolini e dai fascisti. Non solo i morti in guerra, non solo don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, Carlo Rosselli, Nello Rosselli, ma tutte quelle vittime poco note a cui il libro restituisce nome e cognome e dignità storica. I contadini, i braccianti, gli attivisti politici di provincia che non vollero chinare il capo.

UNA PROPOSTA

Insomma “ Mussolini il capobanda” andrebbe adottato come libro di testo nelle scuole, andrebbe letto e commentato per il valore che ha. Come riposizionamento della memoria storica di un paese che ha evitato di fare i conti fino in fondo con un potere lordo di sangue e che è durato più di un ventennio.

Altro merito del libro è quello che, specularmente alla riscrittura della storia di Mussolini, getta una luce corretta sul ruolo e il valore della Resistenza, da troppo tempo oggetto di un revisionismo a volte esplicito, a volte strisciante.

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Polizia

Polizia

POLIZIA- EINAUDI- JO NESBO

di Giuseppe Santilli

Nel 2013 Einaudi pubblica in Italia Polizia, poi riedito quest’anno da RCS (Corriere della sera), in una collana curata da Carlo Lucarelli intitolata: Noir, il lato oscuro delle cose.

Jo Nesbo
Jo Nesbo

LA STORIA

La storia si snoda intorno alle gesta di un serial killer che uccide i poliziotti attirandoli sul luogo di un precedente delitto che non erano stati capaci di risolvere. A metà romanzo, per fermare i delitti, entra nelle indagini Harry Hole, ormai ex poliziotto, che esercita il ruolo di insegnante nella scuola per giovani reclute della polizia.

Per gli amanti del genere noir i romanzi di Nesbo sono un puro godimento e questo “Polizia” è un Nesbo DOC.

Impetuoso, potente, costruito con un “motore giallo” perfetto. A metà della lettura delle 600 pagine di cui è composto sei convinto di avere tutti gli elementi per capire chi è l’assassino, salvo dopo una ventina di pagine, essere clamorosamente smentito. La stessa cosa si ripete per quattro cinque volte e solo alla fine è svelato il volto del vero assassino… naturalmente da parte di Harry Hole.

ELEGIA DEL MALE

Come in tutti i noir di Nesbo il male aleggia in ogni riga del racconto. Anche se questa volta non comporta l’angoscia assoluta come in “Macbeth”e non ha il volto del tradimento come regola di vita come ne “Il fratellino”.

Il male non esiste perché tutto è malvagio. Lo spazio è oscuro. Nasciamo cattivi. Il male è il fondamento, la condizione naturale. Poi, di tanto in tanto, compare una luce piccolissima. Ma non è che un fatto momentaneo, dobbiamo tornare nell’oscurità.” (Polizia. Ed RCS, pag 27).

E’ interessante, e questo apre già uno spiraglio, questa identificazione del male con il buio. Il bene è luce è trasparenza, il male è intrigo nascosto, ombra e occultamento.

Il linguaggio è crudo, spesso mutuato da una sorta di lingua professionale della polizia, in generale degli addetti alla sicurezza. Questo linguaggio diventa particolarmente forte se si tratta di descrivere magistralmente il carcere.

Copertina
Copertina

IL CARCERE “GASTRO-INTESTINALE”

Le aprirono, lei mostrò il tesserino di riconoscimento e l’autorizzazione per la visita che aveva ricevuto via e-mail e, un varco dopo l’altro, si addentrò nella magione. Una guardia carceraria l’aspettava a gambe larghe, braccia conserte e con le chiavi tintinnanti. Ostentava più baldanza e sicurezza del solito perché la visitatrice era della polizia, la casta braminica dei tutori dell’ordine, quelli che inducono immancabilmente le guardie carcerarie, i vigilantes e perfino gli ausiliari del traffico a compensare in modo eccessivo con la gesticolazione e il tono di voce. Katrine si comportò come faceva sempre in situazioni simili: fu più gentile e affabile di quanto la sua indole le dettasse.

-Benvenuta nella fogna – le disse la guardia, una frase che Katrine era abbastanza sicura non usasse con i visitatori abituali ma avesse escogitato preventivamente, una dichiarazione che rivelava la giusta combinazione di humor nero e di cinismo pragmatico nei confronti del suo lavoro. Però, tutto sommato, quell’immagine non era male, pensò mentre percorrevano insieme i corridoi del carcere. O forse sarebbe stato meglio chiamarlo apparato gastro-intestinale. Il luogo dove la digestione della legge riduceva i suoi individui condannati a una massa marrone puzzolente che a un certo punto doveva essere riespulsa. Tutte le porte erano chiuse, i corridoi deserti.” (Polizia Ed RCS pagg. 110-111).

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Javier Marias

Javier Marias

TOMAS NEVINSON – EINAUDI – JAVIER MARIAS

di Giuseppe Santilli

Dopo una lunga pausa, in cui l’attività pratica e le vacanze hanno preso decisamente il sopravvento sulla lettura e la scrittura, vi propongo un libro impegnativo, sulla scia dei quel settembre che, come dice il maestro Guccini, è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età, dopo l’ estate porta il dono usato della perplessità.

Copertina Berta Isla
Copertina Berta Isla

TOMAS NEVINSON E BERTA ISLA

Dopo “Berta Isla” Marias pubblica, nel 2021,“Tomas Nevinson” (uscito i Italia nel 2022) che è la continuazione della storia precedente che a sua volta costituisce il seguito della triologia dal titolo “il tuo volto domani” (“Febbre e lancia” – “Ballo e sogno” – “Veleno e ombra e addio”). La triologia è un’opera monumentale, di circa mille pagine. E’ un’opera straordinaria per quante cose dice sulla vita, sulle tante vite che si possono potenzialmente avere. E’ un appassionante cavalcata di rivisitazione delle verità scomode, come ad esempio la violenza che alberga anche negli individui più miti.

Tomas Nevinson
Tomas Nevinson

ADDIO A MARIAS

Nevinson è definitivamente il suo ultimo libro, perché Javier ci ha lasciato pochi giorni fa, domenica 11 settembre.

Spesso —aveva detto in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2019— penso a chi è morto come qualcuno che da tempo non vedo, niente di più. Non si cancellano i sentimenti, l’amicizia, per l’“accidente” che una creatura amata sia scomparsa. Si continua a tenerla presente, si continua a contare su di lui o su di lei. Non solo nel passato, nel presente. Diciamo che i morti lasciano una traccia e che questa traccia è a volte interminabile, ci accompagna per il resto delle nostre vite».

Marias non ha bisogno di presentazioni. Considerato uno degli autori più importanti al mondo. Conosciuto anche in Italia, soprattutto per il racconto dal titolo “domani nella battaglia pensa a me” ( titolo scespiriano). (Per coloro che non l’avessero letto è un magnifico modo per fare conoscenza con questo autore, romanzo dotato dell’incipit più bello che abbia mai letto.)

L’ESPLORAZIONE DELL’IGNOTO

Come in tutta la sua produzione, Marias, in Tomas Nevinson esplora l’ignoto, l’imprevisto, descrivendo la realtà parallela di ciò che sarebbe potuto accadere. Prende spunto da episodi di terrorismo reali, per mano dell’Eta e dell’Ira. Ci porta magistralmente nel mondo di quello che saremmo potuti essere e nella dimensione che nascondiamo anche a noi stessi. Ci porta nel mondo della finzione, della menzogna (perché tutti mentono), per evidenziare quanto il discrimine tra la recitazione di una parte e la vita reale sia sottile. “Si può nascondere quasi tutto, la gente crede di no, ma in realtà non ci vuole nessuna abilità particolare, siamo tutti impenetrabili e opachi per natura e la menzogna è invisibile “ (T. Nevinson pag 65).

Non si creda che nella menzogna ci siano solo vite disperate o scellerate, non si creda che nella finzione si viva senza etica. Al contrario è proprio una condizione estrema che porta alle domande sul significato della vita, sul valore delle relazioni umane. Ad esempio ci si chiede se non ci siano situazioni in cui la morte sia auspicabile, anche quella determinata da un omicidio ( si pensi, come fa Marias, alla possibilità reale avuta da un certo Reck-Malleczewen di sparare a Hitler in un ristorante, azione che avrebbe risparmiato milioni di vite umane. (…uccidere non è un atto così estremo né così difficile e ingiusto se si sa chi deve essere ucciso, quali delitti ha commesso o annuncia di voler commettere, quanto male sarà risparmiato con la sua morte, quante vite innocenti si salveranno al prezzo di un solo sparo, di uno strangolamento o di tre coltellate, è questione di pochi secondi ed è fatta… e tuttavia il primo passo costa.” (T.Nevinson pag. 22).

Tomas Nevinson
Tomas Nevinson

LA CONSIDERAZIONE DELLA MORTE E IL CINISMO DELLA GUERRA

Il tema della morte campeggia in tutto il romanzo, che è la storia di un assassinio “a fin di bene” deciso a tavolino da esponenti dei sevizi segreti britannici e spagnoli. La morte come evento rispetto al quale si ha il massimo dell’impotenza. “…le persone si sentono spinte a fare qualcosa, qualunque cosa, anche se non serve a nulla. Sono come gli amici e i parenti che coprono di fiori il feretro di un morto che non può più vederli né sentirne il profumo, o che gli parlano o gli scrivono bigliettini o lettere sapendo che ormai non può più udire né capire. La gente crede di dover stare accanto a chi ormai non necessita più né apprezza nessuna compagnia, e così facendo si confortano e si fanno compagnia i vivi, e in parte si consolano – anche – trattando con colpevole superiorità e condiscendenza il defunto, e mormorando poverino o poverina. (Ciò che invece merita ciascuno è un lento chiudersi di scuri).”

Sappiamo che questa visione cinica della considerazione della morte è un modo per sconfiggere i luoghi comuni, per mettere in ridicolo le abitudini sociali e far risaltare il valore della memoria delle persone che si sono amate e non ci sono più. Per rivendicare una certa intimità del dolore.

A proposito di cinismo c’è un passaggio sulla guerra che disvela la logica aberrante di questo strumento per la risoluzione dei conflitti. “La quantità induce la peggiore delle perversioni: sminuire la gravità di ciò che è gravissimo, per questo da un certo momento in poi non vengono più contati i caduti di una guerra, almeno mentre la guerra dura e continua a fare morti. E talvolta i responsabili prolungano inutilmente i conflitti proprio per questo: perché non si comincino a contare i morti che peserebbero sulle loro spalle.” (T. Nevinson pag. 80).

Sempre in tema di conflitti, dopo aver esortato allo studio della storia, perché le cose che succedono sono delle varianti di quello che è accaduto in passato, Marias scrive: “La crudeltà è contagiosa. L’odio è contagioso. La fede è contagiosa…Si trasforma in fanatismo alla velocità del lampo…”

Manifesto
Manifesto

IL POTERE AGLI IMBECILLI

C’è anche un passaggio di bruciante attualità sulla selezione al ribasso della classe dirigente e sui limiti della democrazia, che suona come un monito beffardo, difronte al quale si è impotenti come nei confronti della morte, e ci porta dentro i meccanismi torbidi del potere. “Il mondo finisce sempre in mano a individui difettosi e tormentati, è incredibile quanto le masse siano affascinate da ogni genere di anomalia, mentale o fisica. Deformità e risentimento, crudeltà e follia, sono cose che catturano e suscitano entusiasmi per un po’, finché gli entusiasti ci ripensano, si pentono in privato e in pubblico negano i loro entusiasmi passati. Immagino che molti siano conquistati da questa idea: se un simile imbecille è in grado di governare, potrei farlo anch’io; unita a quest’altra: un mostro si è impadronito del paese, che colpa ne abbiamo noi?” (T. Nevinson pagg. 71 e 72).

Nel testo ritorna, quasi ossessivamente, il fantasma di Hitler, per non dimenticare e per evidenziare che i meccanismi finiscono per essere sempre gli stessi. “…a volte proprio le possibilità più remote si fanno strada e si impongono e invadono tutto lo spazio, senza che uno sappia come sia potuto accadere. Chi mai avrebbe immaginato che il bambino di Braunau, l’aspirante pittore, il soldato mediocre, il capo di un partito marginale di picchiatori ed energumeni, il corpo immondo che odiava se stesso, avrebbe finito per diventare Cancelliere del Reich, per citare l’esempio più lampante e più estremo delle catastrofi improbabili. (T. Nevinson pag.438)

Tomas Nevinson
Tomas Nevinson

UCCIDERE UNA DONNA

La storia intorno alla quale è costruito un edificio di riflessioni sul discrimine labile e persino discutibile, tra bene e male e tra lecito e illecito, racconta la ricerca, da parte di un agente segreto di una donna che aveva preso parte 10 anni prima ad alcuni attentati dell’Eta e dell’Ira.

Quindi non si tratta, all’occorrenza, solo di uccidere, ma di uccidere una donna. Nevinson dice, con malcelata ironia: “ho avuto una educazione all’antica e, non avrei mai creduto che un giorno mi si potesse ordinare di uccidere una donna.”

Si è affermato come questo romanzo sia il sequel di Berta Isla, tuttavia si può tranquillamente leggere da solo, così come tutta l’opera di Marias, che è, in qualche modo, un continuum. La letteratura di Marias, perché siamo difronte a pura letteratura, così come la filosofia di Kant è stata definita la filosofia del limite della ragione umana, può essere definita la letteratura del limite e dell’ambiguità del reale. E’ per questo che non bisogna cedere al conformismo, alle semplificazioni e alle spiegazioni più ovvie. La realtà presenta molti livelli di possibili letture.

Infine, chiudiamo questo che vuole essere un piccolo tributo a un grande autore, con l’auspicio che a Marias venga attribuito il nobel per la letteratura, anche se postumo.

Ciao Javier, la tua traccia ci accompagnerà per il resto delle nostre vite.

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Caro Pier Paolo

Caro Pier Paolo

DACIA MARAINI – NERI POZZA – CARO PIER PAOLO.

di Giuseppe Santilli

Un delizioso libro di memorie in forma epistolare in ricordo di Pier Paolo Pasolini, un intellettuale scomodo da vivo e da morto.

Un uomo mite e gentile

Dacia Maraini ci consegna la figura di un uomo mite e gentile, accurato e paziente a dispetto della foga pubblica delle sue provocazioni, delle sue sfide contro l’opinione corrente, l’omologazione dei costumi e lo sfrenato consumismo. Sappiamo solo ora quanto le analisi di Pasolini sulla riduzione dell’uomo a consumatore, fossero giuste. Come sappiamo che la rivolta dei giovani studenti italiani fosse una rivolta entro i confini della borghesia, proprio quella borghesia che Pasolini odiava.

Dacia e Pier Paolo
Dacia e Pier Paolo

Ma cosa intendevi per volgarità? Cosa trovavi offensivo e repellente nel modo di stare al mondo dei borghesi, che ti avvelenava il sangue? Allora non capivo, oggi penso che per volgarità tu intendessi una ferita profonda alla sacralità dell’essere umano. Il tuo era uno schiaffo alla cultura mercificata che riduce l’uomo a merce, togliendogli dignità e integrità. Qualcosa che il tuo spirito, che metteva le ali ad ogni risveglio, rifiutava come indegno di essere vissuto.” (Caro Pier Paolo – Pag. 99)

I ricordi

Nei ricordi della Maraini, spesso di ispirazione onirica, infatti molte lettere a Pier Paolo iniziano con un racconto di un sogno, non poteva mancare la grande amicizia che legava Pasolini ad Alberto Moravia. Due persone di grande levatura così uniti e così diversi. Coesistevano nel loro rapporto le fughe, i silenzi e lo sguardo appesantito dal pensiero, di Pier Paolo, con la solarità e la grande capacità di racconto, di affabulazione di Alberto.

Moravia, Maraini e Pasolini
Moravia, Maraini e Pasolini

Nella stessa misura non poteva mancare l’Africa, meta di molti viaggi, con i suoi tramonti infuocati e con quella società quasi primitiva nella quale Pasolini ritrovava l’autenticità dei rapporti umani, fuori dalla corrotta civiltà delle merci.

Per questa nostalgia della società contadina Pasolini è stato accusato sovente di passatismo. Invece la Maraini ci consegna integra la forza di un pensiero, di una analisi profonda che si sforzava di restituire dignità alla vita delle persone. Il pensiero di un grande poeta, come ha affermato Moravia nella celebre orazione funebre per la morte violenta di Pasolini, morte ancora avvolta dal mistero. Perché Pasolini è soprattutto un poeta, per gentilezza d’animo, per forma di scrittura e per immaginazione.

Alberto Moravia

Alberto, che ti ha sempre apprezzato e difeso, ha urlato il giorno del tuo funerale delle parole appassionate, definendoti un grande poeta civile. Poeta impegnato, ma senza retoriche patriottiche, fuori dai codici tradizionali della poesia ufficiale alla Carducci che certamente tu non amavi.” (Caro Pier Paolo – Pag.133)

Moravia e Maraini
Moravia e Maraini

Il ritratto che la Maraini dipinge di Pasolini è un ritratto affettuoso ma niente affatto celebrativo.

Dacia non nasconde il rapporto di dipendenza ossessiva che Pasolini aveva con la madre, come non nasconde la problematicità del sesso con i ragazzini, anche se sostiene che Pier Paolo era tutt’altro che predatorio, sempre gentile e giocoso. Viveva la sua omosessualità come espressione di libertà.

Di particolare interesse sono poi le discussioni, che la Maraini riproduce, tra essa stessa e Pasolini sulla legalizzazione dell’aborto (Pasolini era provocatoriamente contrario all’aborto) e sul ruolo della donna, che per Pasolini era fondamentalmente legato all’essere madre (questo, in parte, spiega la sua posizione sull’aborto ).

Ai margini del racconto dell’amicizia con Pasolini, Dacia Maraini ci regala un ritratto inedito di Maria Callas, grondante di spaurita umanità.

Ho capito allora che dentro la diva dalla voce tonante, c’era una bambina impaurita e fragile, una bambina dalle radici che si allungavano nel lontano e povero Peloponneso, una bambina che, nonostante il grande successo internazionale, non si fidava di sé stessa e del suo glorioso posto nel mondo.” (Caro Pier Paolo – Pag. 163)

Dacia Maraini
Dacia Maraini

Poi naturalmente, sparsi nei ricordi principali, ci sono le presenze di tutte le persone che Pasolini frequentava e che quindi frequentavano anche Moravia e la Maraini. Ci sono notazioni che riguardano Elsa Morante, Laura Betti, Ninetto Davoli, Piera degli Esposti ecc…

Un libro la cui lettura fornisce uno spaccato originale degli intellettuali italiani del secondo novecento, un libro che non possono mancare tutti coloro che amano Pasolini.

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La stazione

La stazione

JACOPO DE MICHELIS – GIUNTI – LA STAZIONE.

di Giuseppe Santilli

E’ raro trovarsi difronte a un giallo, per lo più italiano, di quasi novecento pagine. La stazione è il romanzo di esordio di De Michelis, di professione editor, che ha impiegato otto anni per scriverlo.

In realtà questo romanzo di De Michelis è un’opera complessa che ha dentro, anzi che ha una dentro l’altra, tante facce di una storia avvincente e piena di sorprese.

Innanzitutto c’è un approfondimento psicologico dei personaggi, unitamente alle loro vicende di vita, quasi a riaffermare, questione ormai assodata nei gialli moderni, che non esistono casi interessanti senza i destini interessanti di coloro che se ne occupano.

Jacopo De Michelis
Jacopo De Michelis

LE TANTE ANIME DEL LIBRO

C’è una descrizione minuziosa della vita nelle grandi stazioni (qui si tratta della stazione centrale di Milano) e degli emarginati che la frequentano, fino a inventare un mondo sotterraneo del tutto verosimile, a metà tra il possibile e il fiabesco. Una descrizione che provoca orrore e che affascina, insieme.

C’è la ricostruzione della immane tragedia dell’olocausto, attraverso il racconto della deportazione degli ebrei dalla stazione di Milano, verso i campi di sterminio. La testimonianza di una sopravvissuta ad Auschwitz, mutuata dalla testimonianza di Liliana Segre, ci riporta nel dramma delle vite umiliate prima e poi spezzate, che gridano vendetta anche dopo 60 anni e che pretendono di essere ricordate.

C’è l’amore, quello magico, quello che incontri una sola volta nella vita se sei fortunato. In questo caso la magia dell’amore è rafforzata dalla sensibilità visionaria di Laura, la protagonista femminile del romanzo.

C’è la descrizione dei riti wudù, del loro significato profondo; quindi, disancorato da una visione che li confina nel recinto della pura superstizione. Qui questa ritualità assume una forza catartica e si integra con la vita dei personaggi che in qualche modo la subiscono.

la stazione centrale 1
la stazione centrale 1

LA VITA DEL POLIZIOTTO

Poi, soprattutto, c’è la vita del poliziotto, dello sbirro, quello vero, che vive per risolvere i casi, in particolare quelli che hanno pesanti implicazioni con le vicende personali di chi indaga. Riccardo (Cardo) Mezzanotte ha la passione cocciuta di Maigret, la filosofia e i metodi investigativi border-line di Schiavone. Riccardo è per così dire, un figlio d’arte. Suo padre Vittorio è stato, fino alla uccisione, avvenuta in circostanze misteriose, il capo della polizia milanese.

Parlare con la gente e consumare le suole delle scarpe, ecco cosa doveva fare un buon poliziotto.”

(La stazione . De Michelis)

la stazione centrale 2
la stazione centrale 2

La storia è costruita con grande meticolosità e studio delle fonti, restando tuttavia fresca e coinvolgente, al netto di qualche lungaggine di troppo, soprattutto nella descrizione dei riti wudù.

Per lo stile non si può non pensare ai grandi gialli nordici di Joe Nesbo, alla loro apparente semplicità, alla trama complessa ed ai continui colpi di scena.

I MEANDRI DELLA STAZIONE CENTRALE

La Stazione Centrale di Milano è un pianeta a sé, è come una riserva di pellerossa nel mezzo della città. (Giorgio Scerbanenco)

Possente come una fortezza, solenne come un mausoleo, enigmatica come una piramide egizia”, la stazione Centrale di Milano, nella quale ho ambientato il mio thriller, risulta ben più che una semplice scenografia sul cui sfondo accadono le vicende narrate. Ne è a pieno titolo uno dei personaggi, forse addirittura la vera protagonista.” (Jacopo De Michelis. Intervista per Giunti Editori)

la stazione centrale 3
la stazione centrale 3

LA STORIA 1

Milano, aprile 2003. Riccardo Mezzanotte, un giovane ispettore dal passato burrascoso, ha appena preso servizio nella Sezione di Polizia ferroviaria della Stazione Centrale. Insofferente a gerarchie e regolamenti e con un’innata propensione a ficcarsi nei guai, comincia a indagare su un caso che non sembra interessare a nessun altro: qualcuno sta disseminando in giro per la stazione dei cadaveri di animali orrendamente mutilati. Intuisce ben presto che c’è sotto più di quanto appaia, ma individuare il responsabile si rivela un’impresa tutt’altro che facile. Laura Cordero ha vent’anni, è bella e ricca, e nasconde un segreto. In lei c’è qualcosa che la rende diversa dagli altri. È abituata a chiamarlo “il dono” ma lo considera piuttosto una maledizione, e sa da sempre di non poterne parlare con anima viva. Ha iniziato da poco a fare volontariato in un centro di assistenza per gli emarginati che frequentano la Centrale, e anche lei è in cerca di qualcuno: due bambini che ha visto più volte aggirarsi nei dintorni la sera, soli e abbandonati.

Nel corso delle rispettive ricerche le loro strade si incrociano. Non sanno ancora che i due misteri con cui sono alle prese confluiscono in un mistero più grande, né possono immaginare quanto sia oscuro e pericoloso. Su tutto domina la mole immensa della stazione, possente come una fortezza, solenne come un mausoleo, enigmatica come una piramide egizia. Quanti segreti aleggiano nei suoi sfarzosi saloni, nelle pieghe dolorose della sua Storia, ma soprattutto nei suoi labirintici sotterranei, in gran parte dismessi, dove nemmeno la polizia di norma osa avventurarsi?

LA STORIA 2

Per svelarli, Mezzanotte dovrà calarsi nelle viscere buie e maleodoranti della Centrale, mettendo a rischio tutto ciò che ha faticosamente conquistato. Al suo ritorno in superficie, non gli sarà più possibile guardare il mondo con gli stessi occhi e capirà che il peggio deve ancora venire. La stazione è, allo stesso tempo, thriller e romanzo d’avventura.

Mescolando i generi più popolari con vorticosa generosità d’invenzione, Jacopo De Michelis continuamente apre e chiude davanti agli occhi del suo lettore le porte di storie differenti eppure sempre collegate, e lo conduce in giro per sotterranei favolosi e inquietanti senza mai perdere il filo di Arianna della sua scatenata gioia di raccontare. (scheda Giunti Editori).

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Le ossa parlano

Le ossa parlano

ANTONIO MANZINI – SELLERIO – LE OSSA PARLANO

di Giuseppe Santilli

Pubblicato a gennaio di questo 2022 “LE OSSA PARLANO” è il primo romanzo, se così si può dire, della nuova era del vive-questore Rocco Schiavone. Venduta la casa di Roma dove aveva abitato con sua moglie Marina, Rocco Schiavone inizia una nuova vita dove il presente sembra degno di essere vissuto e il passato ha trovato finalmente una sua collocazione stabile, una sistemazione concettuale. Naturalmente il passato a volte ritorna, con gli amici malavitosi di sempre che lo cercano, con Marina che riappare e gli parla. Naturalmente il distacco da Roma non comporta che improvvisamente Aosta gli piaccia. Rocco odia la montagna e si ostina a girare con le Clark anche nel clima della città valdostana.

Antonio Manzini
Antonio Manzini

Le ossa di un bambino

A complicare ulteriormente le cose c’è un nuovo caso, che merita il livello 10 + nella tabella delle rotture di coglioni. Si tratta del ritrovamento delle ossa di un bambino di circa dieci anni, in un bosco nei dintorni di Aosta.

L’oggetto dell’indagine è quella del mondo della pedofilia e della violenza sui minori. Tema ostico che Manzini affronta a viso aperto, senza peraltro rinunciare alla proverbiale vena ironica.

Si riconferma, nello svolgimento delle indagini, pur nella particolarità del caso (l’omicidio risale a sei anni prima del ritrovamento dell’apparato scheletrico) un mix di analisi scientifica dei reperti, di tracciamento delle relazioni dei personaggi coinvolti e delle intuizioni a volte geniali del vice-questore. Schiavone è qui particolarmente abile a mettere insieme dettagli che erano sfuggiti agli investigatori che avevano indagato all’epoca della scomparsa del bambino. Se le ossa parlano, però, lo si deve fondamentalmente alla scienza.

L’infelicità del male

Questo romanzo, dove la storia raccontata è troppo ingombrante per lasciare spazio alle vicende della vita di Schiavone, sembra però segnare la fine dell’appartenenza alla Polizia di Stato di Italo Pierron, un collaboratore di Schiavone, interpretato nella serie televisiva da Ernesto D’Argenio, arrestato dai Carabinieri per aver barato sistematicamente a un tavolo di poker. Anche questa appare come una rinuncia dolorosa per Schiavone che tuttavia non farà mancare al giovane agente il conforto della sua amicizia. Italo è stato in passato il suo collaboratore più stretto. Partecipe e complice dei suoi metodi investigativi non troppo canonici, a volte, molto simili ai reati.

La storia di Italo

Italo Pierron
Italo Pierron

La storia di Italo rappresenta l’illusorietà delle scorciatoie ed è un modo per Manzini per confermare la tesi della Arendt: la banalità del male. Ma Il male non è solo banale, procura infelicità. C’è un punto di non ritorno nella vita dei criminali. Le restrizioni e l’imbarbarimento dei rapporti umani finiscono per annullare i vantaggi procurati dalle pratiche illegali.

Anche in questo testo, come è ormai in tutti gli ultimi romanzi della saga del vice-questore, la scienza, in particolare la ricerca informatica, assume una grande importanza per il successo dell’indagine. Anche qui però Manzini introduce un elemento irregolare: evita le lungaggini burocratiche interne alla polizia e affida le ricerche informatiche al figlio della compagna dell’agente Casella. Si tratta di Carlo, uno smanettone, una sorta di hacker buono, che Schiavone utilizza e coinvolge sempre di più.

Come nel romanzo intitolato “Gli ultimi giorni di quiete”, testo non appartenente alla serie di Rocco Schiavone, nelle “Ossa parlano” affronta il tema doloroso della perdita di un figlio e delle pieghe che l’animo umano assume nel tentativo di elaborare un lutto non accettabile. I due testi, pur appartenendo a scenari completamente diversi, appaiono molto vicini per la sensibilità dell’autore nel trattare vicende intrise di dolore, che evidenziano la malvagità di cui sono, in certi casi, capaci, gli esseri umani.

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