Dopo un periodo di inattività, nel quale non abbiamo scritto recensioni, ma abbiamo letto molto, torniamo con un libro per Settembre.
I giornali, le riviste e i siti son pieni di consigli di letture per l’estate, spesso letture giustamente distratte. Noi vogliamo superare l’estate e proporre una lettura per il mese della riflessione.
Orhan Pamuk
Un’opera complessa
Diciamo subito che il libro di Pamuk è un’opera complessa che contiene molti temi intrecciati.
Innanzitutto è un romanzo storico, anche se ambientato su un’isola immaginaria di nome Mingher, e che quindi mescola eventi storici con temi di pura letteratura da romanzo. Del resto l’autore, premio Nobel per la letteratura nel 2006, è uno studioso appassionato di storia. Questo intreccio, sapientemente modulato, costringe il lettore a salti concettuali, a seguire i registri narrativi diversi che si alternano e a volte coesistono, a volte si intersecano.
Il punto di vista storico
Orhan Pamuk
Dal punto di vista storico è un libro, ambientato all’inizio del novecento, ha come asse centrale la dissoluzione dell’impero ottomano. Si narra il lento declino di una burocrazia e di un potere ancorati a canoni vecchi, a un mondo che non c’è più. Un racconto del graduale cedere il passo alle democrazie di tipo europeo da parte dei residui dell’impero romano d’oriente. Ma anche una narrazione sulla nascita del nazionalismo, come opposizione alle politiche coloniali, il suo portato illusoriamente rivoluzionario e, con malcelata ironia, la descrizione delle ingenuità, delle pretese isolazioniste e identitarie fondate su una visione culturale ristretta e claustrofobica.
Copertina Gallimard
Questo romanzo è contemporaneamente un trattato sugli antagonismi etnici e religiosi. Affronta la difficile convivenza, anche per le ricadute sociali, dei cattolici e dei mussulmani. Particolarmente efficace è l’analisi delle pratiche legate alla stretta osservanza della religione di Maometto, alla subalternità femminile in esse radicata, unitamente al rifiuto della scienza e della conoscenza della realtà che, come è noto, presuppone un approccio laico.
La peste
Orhan Pamuk
Naturalmente si parla di peste e di quarantena come espediente, almeno così sembra, per parlare della pandemia da Covid che abbiamo vissuto dal 2020 alla fine del 2022. Si parla della difficoltà del potere di fare i conti con l’emergenza sanitaria, con la quarantena, della dicotomia che separa il bene pubblico dalla politica attenta prevalentemente al consenso immediato. Temi di scottante attualità, collocati in un epoca lontana, con il distacco insito in una prospettiva storica (per lo più consapevolmente apparente).
Un’opera monumentale di circa settecento pagine che vale la pena di affrontare, perché alla fine del viaggio, a volte faticoso, ci si ritrova immensamente più ricchi.
Ammaniti è tornato. Dopo otto anni dal suo ultimo romanzo “Anna” ( dal quale nel 2021 è stata tratta una bellissima serie televisiva, curata tra gli altri, dallo stesso Ammaniti), è tornato con questa storia che per alcuni aspetti è nel solco dell’autore, per altri è completamente innovativa.
Anna copertina
IL MARCHIO DI FABBRICA
Chi si aspetta la cattiveria dei primi testi rimarrà deluso. Rimarrà deluso quanto chi si aspetta l’horror visionario di Anna. Ci sono dei tratti che rappresentano il marchio di fabbrica: lo stile sciolto, la scrittura scorrevole , quasi felice; l’uso diffuso di una ironia tagliente; l’utilizzo consapevole di espedienti narrativi che esasperano ed esagerano le situazioni.
Della continuità con l’opera precedente, a titolo esemplificativo ne è testimonianza la descrizione di uno dei protagonisti del romanzo, Nicola Sarti.
“Ha difronte l’ennesimo narcisista che cerca di impressionarla come farebbe un igenista dentale. E’ un bell’uomo, ma oggi è più ciancicato e sembra che si lavi poco. La stempiatura gli si allunga oltre la fronte . un filo di barba gli sale in alto sulle guance. E’ un misto tra un hippie di Formentera e un dirigente della Vodafone. Si trascina ancora dietro gli anni novanta. I Guns N’ Roses devono avergli affondato gli artigli nel cuore, lo dimostra l’abbigliamento di marca sdrucito ad arte, la chincaglieria sui polsi, il Rolex, il pacchetto di Lucky Strike sul tavolo a cinquant’anni suonati.” ( La vita intima – pag,190).
Ammaniti
LA LEGGEREZZA DELL’APPARIRE
Questo Ammaniti affronta con leggerezza il tema del vuoto che si cela dietro l’apparire mediatico e che comporta l’affannosa ricerca, in privato, del senso della propria vita. La leggerezza è rappresentata da un io narratore, fuori campo, che forse è la parte migliore del libro. Esprime equilibrio di giudizio rifuggendo da moralismi e da accenti melodrammatici. Riesce a farci capire che anche nella frivolezza c’è sofferenza, soprattutto quando l’apparire ha un rapporto dicotomico con la realtà. “ La paura finisce dove comincia la verità.”
Ammaniti
LA STORIA
La storia è quella di Maria Cristina, bella (in una classifica risulta essere la donna più bella del mondo), ricca e famosa (è la moglie del Presidente del Consiglio). Una vita, si direbbe felice, all’ombra degli uomini ( prima del presidente aveva sposto uno scrittore di fama). Tuttavia un video porno che viene dal passato, per mano di un suo vecchio fidanzato, ne sconvolge l’esistenza e la porta a riconsiderare la propria vita intima. Nella mente e nel corpo di Maria Cristina si riaffacciano i desideri e con essi una personalità che è stata per tanto tempo repressa e compressa.
Non sappiamo dire se questo libro sia all’altezza degli altri (Branchie, io non ho paura, Anna. Tre libri bellissimi). Tuttavia la sua diversità testimonia che Ammaniti non è come quei cantautori che nella loro vita scrivono per trent’anni (mutatis mutandi) la stessa canzone. Il suo repertorio è vasto e finirà per stupirci.
In questo periodo ho letto diversi romanzi, ma il libro che mi ha maggiormente colpito, anche da un punto di vista emozionale, è questo saggio di Aldo Cazzullo su Mussolini ed il fascismo, anzi su Mussolini ed i fascisti.
LA TESI DEL LIBRO
In realtà non si tratta propriamente di un saggio, piuttosto del racconto, della cronaca dei crimini compiuti dai fascisti a partire dal loro capo. Il racconto storico/politico non può prescindere, in questo caso, dal resoconto di fatti singoli che svelano la vera natura criminale del fascismo, che ha conquistato e mantenuto il potere attraverso un uso sistematico della violenza, fino all’omicidio. Questa è la tesi di fondo del libro.
L’INCIPIT: UNA BANDA DI DELINQUENTI
“Cent’anni fa, in questi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo. Un uomo capace di tutto, persino di far chiudere e morire in manicomio il proprio figlio e la donna che lo aveva messo al mondo. Oggi in Italia ci sono gli estimatori di Mussolini, pochi ma non pochissimi. Troppi. Poi ci sono gli antifascisti convinti: molti ma non moltissimi. E poi c’è la maggioranza. Che crede, o a cui piace credere, in una storia immaginaria, consolatoria, autoassolutoria. “ Il libro inizia programmaticamente così.
Aldo Cazzullo
IL FASCISMO E LA CONTINUITA’ NELLE ISTITUZIONI REPUBBLICANE
Nella parte finale dello scritto, quella che comunemente viene definita come l’eredità del fascismo, viene approfondita: la maggioranza degli Italiani non sono fascisti ma non sono neanche antifascisti, sulla base di una storia edulcorata, di comodo, orientata a relativizzare il fascismo e a presentarlo fondamentalmente come un movimento politico, un’ideologia e una pratica a volte un po’ maldestra.
Questo saggio di Cazzullo spazza via in maniera definitiva una narrativa che minimizza e riduce a folclore il fascismo. Ma i meriti di questo libro vanno ben oltre.
Innanzitutto rende evidente che la continuità tra lo stato fascista e il primo apparato repubblicano non ha trovato soluzione di continuità generale nello stato democratico. In esso coesistono anche oggi, accanto alle rappresentanze democratiche, istanze post-fasciste che affondano le loro radici nel fascismo criminale del Duce. A volte questa continuità è anche fisica. Si pensi ad esempio alla figura di Almirante, allo squadrismo fascista, agli eredi nostalgici del Movimento Sociale la cui storia si richiama espressamente alla Repubblica di Salò. Questo spiega, a mio avviso, perché alcuni personaggi che ricoprono attualmente alte cariche dello Stato, dichiarano di non voler festeggiare il 25 aprile.
I LUOGHI COMUNI
Cazzullo, poi, demolisce uno a uno i luoghi comuni su Mussolini e il fascismo: ha fatto anche cose buone, ha favorito la crescita demografica, le leggi razziali son state poco applicate, ha avuto un seguito di massa, ecc. In realtà le bonifiche non sono attribuibili solo al periodo fascista e in quel periodo sono morti centinaia di operai di stenti e di malaria. La crescita demografica non c’è stata. La repubblica di Salò ha avuto un ruolo fondamentale nella deportazione degli ebrei Italiani, e gli ebrei, in precedenza erano stati esclusi da tutte le istituzioni pubbliche e persino dalle aziende private. Per quanto riguarda il seguito di massa, fenomeno ben descritto da De felice, non bisogna dimenticare la coercizione operata con tutti i mezzi, pervasiva, fino al punto di non avere diritti, spesso neanche quello di vivere, se non eri fascista.
Aldo Cazzullo
DIGNITA’ PER TUTTE LE VITTIME
Tuttavia il merito maggiore di Cazzullo e quello di aver documentato e descritto, fino alla noia, uno per uno, gli omicidi, le vessazioni, le violenze perpetrate da Mussolini e dai fascisti. Non solo i morti in guerra, non solo don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, Carlo Rosselli, Nello Rosselli, ma tutte quelle vittime poco note a cui il libro restituisce nome e cognome e dignità storica. I contadini, i braccianti, gli attivisti politici di provincia che non vollero chinare il capo.
UNA PROPOSTA
Insomma “ Mussolini il capobanda” andrebbe adottato come libro di testo nelle scuole, andrebbe letto e commentato per il valore che ha. Come riposizionamento della memoria storica di un paese che ha evitato di fare i conti fino in fondo con un potere lordo di sangue e che è durato più di un ventennio.
Altro merito del libro è quello che, specularmente alla riscrittura della storia di Mussolini, getta una luce corretta sul ruolo e il valore della Resistenza, da troppo tempo oggetto di un revisionismo a volte esplicito, a volte strisciante.
Nel 2013 Einaudi pubblica in Italia Polizia, poi riedito quest’anno da RCS (Corriere della sera), in una collana curata da Carlo Lucarelli intitolata: Noir, il lato oscuro delle cose.
Jo Nesbo
LA STORIA
La storia si snoda intorno alle gesta di un serial killer che uccide i poliziotti attirandoli sul luogo di un precedente delitto che non erano stati capaci di risolvere. A metà romanzo, per fermare i delitti, entra nelle indagini Harry Hole, ormai ex poliziotto, che esercita il ruolo di insegnante nella scuola per giovani reclute della polizia.
Per gli amanti del genere noir i romanzi di Nesbo sono un puro godimento e questo “Polizia” è un Nesbo DOC.
Impetuoso, potente, costruito con un “motore giallo” perfetto. A metà della lettura delle 600 pagine di cui è composto sei convinto di avere tutti gli elementi per capire chi è l’assassino, salvo dopo una ventina di pagine, essere clamorosamente smentito. La stessa cosa si ripete per quattro cinque volte e solo alla fine è svelato il volto del vero assassino… naturalmente da parte di Harry Hole.
ELEGIA DEL MALE
Come in tutti i noir di Nesbo il male aleggia in ogni riga del racconto. Anche se questa volta non comporta l’angoscia assoluta come in “Macbeth”e non ha il volto del tradimento come regola di vita come ne “Il fratellino”.
“Il male non esiste perché tutto è malvagio. Lo spazio è oscuro. Nasciamo cattivi. Il male è il fondamento, la condizione naturale. Poi, di tanto in tanto, compare una luce piccolissima. Ma non è che un fatto momentaneo, dobbiamo tornare nell’oscurità.” (Polizia. Ed RCS, pag 27).
E’ interessante, e questo apre già uno spiraglio, questa identificazione del male con il buio. Il bene è luce è trasparenza, il male è intrigo nascosto, ombra e occultamento.
Il linguaggio è crudo, spesso mutuato da una sorta di lingua professionale della polizia, in generale degli addetti alla sicurezza. Questo linguaggio diventa particolarmente forte se si tratta di descrivere magistralmente il carcere.
Copertina
IL CARCERE “GASTRO-INTESTINALE”
“Le aprirono, lei mostrò il tesserino di riconoscimento e l’autorizzazione per la visita che aveva ricevuto via e-mail e, un varco dopo l’altro, si addentrò nella magione. Una guardia carceraria l’aspettava a gambe larghe, braccia conserte e con le chiavi tintinnanti. Ostentava più baldanza e sicurezza del solito perché la visitatrice era della polizia, la casta braminica dei tutori dell’ordine, quelli che inducono immancabilmente le guardie carcerarie, i vigilantes e perfino gli ausiliari del traffico a compensare in modo eccessivo con la gesticolazione e il tono di voce. Katrine si comportò come faceva sempre in situazioni simili: fu più gentile e affabile di quanto la sua indole le dettasse.
-Benvenuta nella fogna – le disse la guardia, una frase che Katrine era abbastanza sicura non usasse con i visitatori abituali ma avesse escogitato preventivamente, una dichiarazione che rivelava la giusta combinazione di humor nero e di cinismo pragmatico nei confronti del suo lavoro. Però, tutto sommato, quell’immagine non era male, pensò mentre percorrevano insieme i corridoi del carcere. O forse sarebbe stato meglio chiamarlo apparato gastro-intestinale. Il luogo dove la digestione della legge riduceva i suoi individui condannati a una massa marrone puzzolente che a un certo punto doveva essere riespulsa. Tutte le porte erano chiuse, i corridoi deserti.” (Polizia Ed RCS pagg. 110-111).
Dopo una lunga pausa, in cui l’attività pratica e le vacanze hanno preso decisamente il sopravvento sulla lettura e la scrittura, vi propongo un libro impegnativo, sulla scia dei quel settembre che, come dice il maestro Guccini, è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età, dopo l’ estate porta il dono usato della perplessità.
Copertina Berta Isla
TOMAS NEVINSON E BERTA ISLA
Dopo “Berta Isla” Marias pubblica, nel 2021,“Tomas Nevinson” (uscito i Italia nel 2022) che è la continuazione della storia precedente che a sua volta costituisce il seguito della triologia dal titolo “il tuo volto domani” (“Febbre e lancia” – “Ballo e sogno” – “Veleno e ombra e addio”). La triologia è un’opera monumentale, di circa mille pagine. E’ un’opera straordinaria per quante cose dice sulla vita, sulle tante vite che si possono potenzialmente avere. E’ un appassionante cavalcata di rivisitazione delle verità scomode, come ad esempio la violenza che alberga anche negli individui più miti.
Tomas Nevinson
ADDIO A MARIAS
Nevinson è definitivamente il suo ultimo libro, perché Javier ci ha lasciato pochi giorni fa, domenica 11 settembre.
Spesso —aveva detto in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2019— penso a chi è morto come qualcuno che da tempo non vedo, niente di più. Non si cancellano i sentimenti, l’amicizia, per l’“accidente” che una creatura amata sia scomparsa. Si continua a tenerla presente, si continua a contare su di lui o su di lei. Non solo nel passato, nel presente. Diciamo che i morti lasciano una traccia e che questa traccia è a volte interminabile, ci accompagna per il resto delle nostre vite».
Marias non ha bisogno di presentazioni. Considerato uno degli autori più importanti al mondo. Conosciuto anche in Italia, soprattutto per il racconto dal titolo “domani nella battaglia pensa a me” ( titolo scespiriano). (Per coloro che non l’avessero letto è un magnifico modo per fare conoscenza con questo autore, romanzo dotato dell’incipit più bello che abbia mai letto.)
L’ESPLORAZIONE DELL’IGNOTO
Come in tutta la sua produzione, Marias, in Tomas Nevinson esplora l’ignoto, l’imprevisto, descrivendo la realtà parallela di ciò che sarebbe potuto accadere. Prende spunto da episodi di terrorismo reali, per mano dell’Eta e dell’Ira. Ci porta magistralmente nel mondo di quello che saremmo potuti essere e nella dimensione che nascondiamo anche a noi stessi. Ci porta nel mondo della finzione, della menzogna (perché tutti mentono), per evidenziare quanto il discrimine tra la recitazione di una parte e la vita reale sia sottile. “Si può nascondere quasi tutto, la gente crede di no, ma in realtà non ci vuole nessuna abilità particolare, siamo tutti impenetrabili e opachi per natura e la menzogna è invisibile “ (T. Nevinson pag 65).
Non si creda che nella menzogna ci siano solo vite disperate o scellerate, non si creda che nella finzione si viva senza etica. Al contrario è proprio una condizione estrema che porta alle domande sul significato della vita, sul valore delle relazioni umane. Ad esempio ci si chiede se non ci siano situazioni in cui la morte sia auspicabile, anche quella determinata da un omicidio ( si pensi, come fa Marias, alla possibilità reale avuta da un certo Reck-Malleczewen di sparare a Hitler in un ristorante, azione che avrebbe risparmiato milioni di vite umane. (…uccidere non è un atto così estremo né così difficile e ingiusto se si sa chi deve essere ucciso, quali delitti ha commesso o annuncia di voler commettere, quanto male sarà risparmiato con la sua morte, quante vite innocenti si salveranno al prezzo di un solo sparo, di uno strangolamento o di tre coltellate, è questione di pochi secondi ed è fatta… e tuttavia il primo passo costa.” (T.Nevinson pag. 22).
Tomas Nevinson
LA CONSIDERAZIONE DELLA MORTE E IL CINISMO DELLA GUERRA
Il tema della morte campeggia in tutto il romanzo, che è la storia di un assassinio “a fin di bene” deciso a tavolino da esponenti dei sevizi segreti britannici e spagnoli. La morte come evento rispetto al quale si ha il massimo dell’impotenza. “…le persone si sentono spinte a fare qualcosa, qualunque cosa, anche se non serve a nulla. Sono come gli amici e i parenti che coprono di fiori il feretro di un morto che non può più vederli né sentirne il profumo, o che gli parlano o gli scrivono bigliettini o lettere sapendo che ormai non può più udire né capire. La gente crede di dover stare accanto a chi ormai non necessita più né apprezza nessuna compagnia, e così facendo si confortano e si fanno compagnia i vivi, e in parte si consolano – anche – trattando con colpevole superiorità e condiscendenza il defunto, e mormorando poverino o poverina. (Ciò che invece merita ciascuno è un lento chiudersi di scuri).”
Sappiamo che questa visione cinica della considerazione della morte è un modo per sconfiggere i luoghi comuni, per mettere in ridicolo le abitudini sociali e far risaltare il valore della memoria delle persone che si sono amate e non ci sono più. Per rivendicare una certa intimità del dolore.
A proposito di cinismo c’è un passaggio sulla guerra che disvela la logica aberrante di questo strumento per la risoluzione dei conflitti. “La quantità induce la peggiore delle perversioni: sminuire la gravità di ciò che è gravissimo, per questo da un certo momento in poi non vengono più contati i caduti di una guerra, almeno mentre la guerra dura e continua a fare morti. E talvolta i responsabili prolungano inutilmente i conflitti proprio per questo: perché non si comincino a contare i morti che peserebbero sulle loro spalle.” (T. Nevinson pag. 80).
Sempre in tema di conflitti, dopo aver esortato allo studio della storia, perché le cose che succedono sono delle varianti di quello che è accaduto in passato, Marias scrive: “La crudeltà è contagiosa. L’odio è contagioso. La fede è contagiosa…Si trasforma in fanatismo alla velocità del lampo…”
Manifesto
IL POTERE AGLI IMBECILLI
C’è anche un passaggio di bruciante attualità sulla selezione al ribasso della classe dirigente e sui limiti della democrazia, che suona come un monito beffardo, difronte al quale si è impotenti come nei confronti della morte, e ci porta dentro i meccanismi torbidi del potere. “Il mondo finisce sempre in mano a individui difettosi e tormentati, è incredibile quanto le masse siano affascinate da ogni genere di anomalia, mentale o fisica. Deformità e risentimento, crudeltà e follia, sono cose che catturano e suscitano entusiasmi per un po’, finché gli entusiasti ci ripensano, si pentono in privato e in pubblico negano i loro entusiasmi passati. Immagino che molti siano conquistati da questa idea: se un simile imbecille è in grado di governare, potrei farlo anch’io; unita a quest’altra: un mostro si è impadronito del paese, che colpa ne abbiamo noi?” (T. Nevinson pagg. 71 e 72).
Nel testo ritorna, quasi ossessivamente, il fantasma di Hitler, per non dimenticare e per evidenziare che i meccanismi finiscono per essere sempre gli stessi. “…a volte proprio le possibilità più remote si fanno strada e si impongono e invadono tutto lo spazio, senza che uno sappia come sia potuto accadere. Chi mai avrebbe immaginato che il bambino di Braunau, l’aspirante pittore, il soldato mediocre, il capo di un partito marginale di picchiatori ed energumeni, il corpo immondo che odiava se stesso, avrebbe finito per diventare Cancelliere del Reich, per citare l’esempio più lampante e più estremo delle catastrofi improbabili. (T. Nevinson pag.438)
Tomas Nevinson
UCCIDERE UNA DONNA
La storia intorno alla quale è costruito un edificio di riflessioni sul discrimine labile e persino discutibile, tra bene e male e tra lecito e illecito, racconta la ricerca, da parte di un agente segreto di una donna che aveva preso parte 10 anni prima ad alcuni attentati dell’Eta e dell’Ira.
Quindi non si tratta, all’occorrenza, solo di uccidere, ma di uccidere una donna. Nevinson dice, con malcelata ironia: “ho avuto una educazione all’antica e, non avrei mai creduto che un giorno mi si potesse ordinare di uccidere una donna.”
Si è affermato come questo romanzo sia il sequel di Berta Isla, tuttavia si può tranquillamente leggere da solo, così come tutta l’opera di Marias, che è, in qualche modo, un continuum. La letteratura di Marias, perché siamo difronte a pura letteratura, così come la filosofia di Kant è stata definita la filosofia del limite della ragione umana, può essere definita la letteratura del limite e dell’ambiguità del reale. E’ per questo che non bisogna cedere al conformismo, alle semplificazioni e alle spiegazioni più ovvie. La realtà presenta molti livelli di possibili letture.
Infine, chiudiamo questo che vuole essere un piccolo tributo a un grande autore, con l’auspicio che a Marias venga attribuito il nobel per la letteratura, anche se postumo.
Ciao Javier, la tua traccia ci accompagnerà per il resto delle nostre vite.
Penso sia utile dire subito cosa questo libro straordinario non è: non è un romanzo, non è un diario, non è una mappatura delle malattie mentali, non è un resoconto di una professione medica. Un libro non ordinario, particolare, che racconta il baratro in cui tutti rischiamo di cadere, con le paure e gli occhi delle persone che l’autore ha cercato di curare.
Paolo Milone, al suo primo libro nel 2021 all’età di 68 anni, è un medico di psichiatria d’urgenza, racconta la sua vita con le malattie mentali, il suo quotidiano confronto con il male per antonomasia, senza avere mai la supponenza di esserne estraneo. La cifra del libro rifugge dalla teoria e dalla ideologia, ci parla concretamente del dolore, delle paure, in ospedale, nelle case dei malati e nelle vie di Genova. Ci parla dei tentativi di aiutare i malati con tutti i mezzi possibili.
Innanzitutto, riconoscendo la assoluta continuità tra normalità e malattia e la collocazione instabile degli individui nelle due condizioni. I sani dai malati sono separati da una linea invisibile: “a ben guardare solo un tiro di dadi riuscito bene”. Con i farmaci certo, ma anche con lo stare insieme al paziente e, a volte, di legare letteralmente le persone per evitare che si facciano e facciano del male.
Non ci si lasci ingannare dall’ambiguità del titolo che sembra alludere metaforicamente ai legami relazionali. Si tratta proprio di contenimento che a volte si rende necessario. Qui l’autore infrange rumorosamente la discrasia tra l’altra psichiatria e quella tradizionale.
Paolo Milione
Paolo Milone, nell’affrontare un argomento così difficile, spesso rimosso dalle cosiddette persone normali, non dimentica l’ironia e per certi aspetti utilizza la leggerezza del racconto per ridimensionare e rendere affrontabile la tragedia. Riesce a rendere senza retorica la perfetta coesistenza tra la violenza e il lirismo di malati mentali.
Si riporta, infine, un piccolo estratto del libro che rappresenta bene, a nostro avviso, la sua originale grandezza narrativa.
“Arriviamo in cinque per portarti in ospedale. Hai riempito di spazzatura casa tua, il pianerottolo, le scale. Non ci fai entrare, dobbiamo sfondare la porta. ……………..Quando cominciamo ad arrabbiarci sul serio, tu, lentamente, cedi.
Riusciamo a trascinarti per le scale e infilarti dentro la macchina davanti al capannello vociante di di vicini e passanti. In pronto soccorso lanci lettighe contro i muri, ti dobbiamo saltare addosso in sei e legare sulla barella. Finalmente in reparto 77 ti possiamo scontenere dalla barella e ricontenere al letto, ora ti accontenti di sputarci addosso e di insultare e maledire nostra madre e nostri figli.
Il giorno dopo passo a vedere come stai. Mi dici tra le lacrime: mi avete fatto uscire di casa con una ciabatta diversa dall’altra!”
Dopo aver vinto il premio Campiello nel 2017 con “l’ Arminuta”, Donatella Di Pietrantonio (di professione dentista pediatrico) pubblica nel 2020 “Borgo Sud” che poi sarà finalista al premio Strega nel 2021, (premio che avrebbe meritato largamente di vincere). Borgo sud è un quartiere periferico di Pescara e rappresenta, nel panorama della letteratura italiana, una tendenza a valorizzare la provincia e la periferia. La vita e la cultura sono ormai fuori dai grandi centri urbani.
“Ci siamo addentrate tra le palazzine popolari e le case a uno o a due piani. Non ero mai stata in quel quartiere, ma sapevo che Adriana ci bazzicava da anni. La città mi sorprendeva, si rivelava più grande, diversa dalla mia mappa immaginaria limitata al centro e poche zone di periferia…….Sembrava un luogo separato, dove il tempo scorreva più lento e valevano altre regole.” (da Borgo Sud).
Donatella di Pietrantonio
Tuttavia la grandezza del libro non risiede nella sua ambientazione, che pure è resa con tratti quasi pittorici, ma nel pulsare delle vite che la abitano, nelle relazioni umane tra diversi. Diverse sono le sorelle al centro della storia, una intellettuale e tendenzialmente fredda, l’altra, Adriana, ribelle e passionaria. In comune una cultura contadina di provenienza, che resta come legame. Che resta nel ricordo ma che non esiste più per nessuno.
L’autrice, in questo lavoro, possiede una capacità chirurgica di scavare nei sentimenti attraverso la semplice descrizione degli avvenimenti della vita. Le emozioni, i valori e i rapporti sono sempre “attaccati” ai fatti che succedono, non sono mai investigati in astratto. Questo dona al racconto una forza emotiva enorme che coinvolge e commuove. La scrittura, asciutta e profonda, è utilizzata come una luce che ci guida nell’esplorazione di una caverna: quella dei destini umani.
“È il momento piú buio della notte, quello che precede l’alba, quando Adriana tempesta alla porta con un neonato tra le braccia. Non si vedevano da un po’, e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando?”
Laureato in filosofia - Ex professore di Lettere - Ex operatore culturale presso il Comune di Roma - Attualmente lavoro in un campeggio: gestione dei computer, realizzazione e manutenzione di impianti elettrici e idraulici, gestione del porticciolo, fotografia, video, DJ.