Paolo Milione – Einaudi – L’arte di legare le persone
di Giuseppe Santilli
Penso sia utile dire subito cosa questo libro straordinario non è: non è un romanzo, non è un diario, non è una mappatura delle malattie mentali, non è un resoconto di una professione medica. Un libro non ordinario, particolare, che racconta il baratro in cui tutti rischiamo di cadere, con le paure e gli occhi delle persone che l’autore ha cercato di curare.
Paolo Milone, al suo primo libro nel 2021 all’età di 68 anni, è un medico di psichiatria d’urgenza, racconta la sua vita con le malattie mentali, il suo quotidiano confronto con il male per antonomasia, senza avere mai la supponenza di esserne estraneo. La cifra del libro rifugge dalla teoria e dalla ideologia, ci parla concretamente del dolore, delle paure, in ospedale, nelle case dei malati e nelle vie di Genova. Ci parla dei tentativi di aiutare i malati con tutti i mezzi possibili.
Innanzitutto, riconoscendo la assoluta continuità tra normalità e malattia e la collocazione instabile degli individui nelle due condizioni. I sani dai malati sono separati da una linea invisibile: “a ben guardare solo un tiro di dadi riuscito bene”. Con i farmaci certo, ma anche con lo stare insieme al paziente e, a volte, di legare letteralmente le persone per evitare che si facciano e facciano del male.
Non ci si lasci ingannare dall’ambiguità del titolo che sembra alludere metaforicamente ai legami relazionali. Si tratta proprio di contenimento che a volte si rende necessario. Qui l’autore infrange rumorosamente la discrasia tra l’altra psichiatria e quella tradizionale.
Paolo Milone, nell’affrontare un argomento così difficile, spesso rimosso dalle cosiddette persone normali, non dimentica l’ironia e per certi aspetti utilizza la leggerezza del racconto per ridimensionare e rendere affrontabile la tragedia. Riesce a rendere senza retorica la perfetta coesistenza tra la violenza e il lirismo di malati mentali.
Si riporta, infine, un piccolo estratto del libro che rappresenta bene, a nostro avviso, la sua originale grandezza narrativa.
“Arriviamo in cinque per portarti in ospedale. Hai riempito di spazzatura casa tua, il pianerottolo, le scale. Non ci fai entrare, dobbiamo sfondare la porta. ……………..Quando cominciamo ad arrabbiarci sul serio, tu, lentamente, cedi.
Riusciamo a trascinarti per le scale e infilarti dentro la macchina davanti al capannello vociante di di vicini e passanti. In pronto soccorso lanci lettighe contro i muri, ti dobbiamo saltare addosso in sei e legare sulla barella. Finalmente in reparto 77 ti possiamo scontenere dalla barella e ricontenere al letto, ora ti accontenti di sputarci addosso e di insultare e maledire nostra madre e nostri figli.
Il giorno dopo passo a vedere come stai. Mi dici tra le lacrime: mi avete fatto uscire di casa con una ciabatta diversa dall’altra!”