ROSSANA ROSSANDA E L’OCCUPAZIONE DE IL MANIFESTO

Rossana Rossanda è morta

Rossana Rossanda è morta! La mia mente quasi si rifiuta di accettare la notizia. Sapevo fosse molto anziana. Avevo notato che da qualche anno non comparivano più suoi articoli sui giornali. Quei suoi interventi che ti costringevano a scontrarti con la realtà. Ma insieme ti davano la soluzione del problema, la spiegazione di cosa stesse accadendo, la linea. Il mio amico Lello Casagrande era molto più grande di me ed era uscito dal PC con lei e gli altri quattro eretici che nel sessantanove erano stati radiati dal partito per aver fondato la rivista Il Manifesto. Poco più che adolescente allora cominciavo a muovere i primi passi nel mondo misterioso della politica. Egli mi diceva sempre questo: aspettiamo cosa dirà la Rossanda, aspettiamo la linea.

L’errore di delegare

Lello era troppo accorto per ripetere l’errore di tutti quei compagni che aveva conosciuto, che erano rimasti nel partito e che da un giorno all’altro gli avevano persino tolto il saluto, alzando intorno a lui ed a quei pochi altri fuoriusciti un muro di ostracismo, Quell’errore che conduceva al senso fideistico con cui i compagni del dopoguerra aspettavano il pronunciamento di Togliatti per sapere cosa dire, come agire. L’errore di delegare ad altri, fosse pure la direzione, fosse pure il comitato centrale, la responsabilità di pensare. Lui me lo ripeteva nel senso di invitarmi ad attendere un’analisi con cui confrontarsi, certo, e su cui riflettere ma che avrebbe sicuramente fornito quegli elementi di comprensione della realtà che avrebbero reso tutto più chiaro, più comprensibile.

Le analisi della Rossanda

A questo mi ero abituato da ragazzo: a quelle analisi che non pretendevano di spiegare le cose ma rendevano più facile separare i fili di una matassa ingarbugliata e, come una bussola, erano in grado di guidarti nella perigliosa navigazione tra le secche del reale. Per questo mi sembrava quasi impossibile che quel faro potesse spegnersi e quasi attendevo, contro ogni possibilità, che un altro articolo arrivasse ad aiutarmi ancora una volta a capire, oggi che ce ne sarebbe davvero bisogno. Ora invece questa notizia razionalmente attesa, ma irrazionalmente ritenuta impossibile, mi fa sentire più solo.

Testata del giornale
Testata del giornale

Un episodio del passato

Mi ritorna alla mente un episodio di tanti anni fa, quando i compagni del Collettivo Casilino di cui facevo parte, insieme, se la memoria non mi tradisce, a quelli del Collettivo Edili di Montesacro, occuparono simbolicamente la redazione de Il Manifesto. Erano i tempi in cui la formazione politica del Manifesto non esisteva più: era confluita prima nel PDUP, poi in Democrazia Proletaria e quel giornale, il nostro giornale, come allora lo sentivamo, ne era non proprio l’organo ufficiale, ma comunque la rappresentazione informativa e culturale.

L’occupazione de Il Manifesto

Sinceramente non ricordo i motivi di quel gesto eclatante, ma che passò sotto silenzio perché non avevamo alcuna intenzione di recare danno alla testata con una pubblicizzazione della vicenda su altri organi di stampa. Ricordo invece una tempestosa riunione nei locali del giornale in via Tomacelli a Roma. Dalla parte della redazione c’erano, se la memoria non mi tradisce, Valentino Parlato, Tommaso Di Francesco e naturalmente Rossana Rossanda. Dall’altra parte del tavolo non ricordo chi ci fosse accanto a me. Ne ricordo la natura del contendere, lo svolgimento della discussione e tantomeno i suoi esiti, a parte che l’occupazione del giornale fu interrotta.

La caparbia volontà di capire

Ricordo bene Rossana Rossanda, la sua espressione. Mi sembrava quasi sorpresa di trovarsi in una situazione probabilmente così insolita per lei: tra i contestati, non tra i contestatori. Ricordo anche però la sua caparbia volontà di capire, di capirci. Ecco, se penso oggi a questa ragazza del secolo scorso, come si era definita, penso al suo grande insegnamento: sforzarsi sempre di capire, la realtà i processi in atto, le persone, le idee. Poi proseguire per la propria strada, ma prima capire. Questo è ciò che mi ha insegnato, il grande debito che ho con lei, quello che più di ogni altra cosa ha contribuito a costruire quello che sono oggi.