Leonard Cohen Popular Problems 2014

LEONARD COHEN POPULAR PROBLEMS 2014

di Sante Fernando Tacca

Popular Problems è il tredicesimo album da studio di Leonard Cohen, pubblicato nel 2014, due giorni dopo aver compiuto ottanta anni.

La copertina ce lo mostra appoggiato ad un bastone da passeggio, in quella che è diventata nell’ultimo periodo della sua vita la sua divisa d’ordinanza, borsalino giacca e cravatta, come nell’album del 2012 Old Ideas.

ALBUM CAPOLAVORO

Album capolavoro nella sua essenzialità e coerenza formale, composto di nove brani inediti cofirmati quasi per intero con Patrick Leonard, compositore, tastierista e produttore statunitense che ha curato anche l’arrangiamento musicale.

Retro
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ARRANGIAMENTO MINIMALE CON VARI STILI.

L’arrangiamento dell’album pur essendo minimale è raffinato ed efficace, fatto di suoni ibridi, a metà tra l’analogico e il sintetico, con percussioni e batteria appena accennata e una spruzzata di organo hammond, chitarra slide, violino e pianoforte.

A dominare la scena è la voce cavernosa e catramosa di Leonard, che ricorda un po’ quella di Tom Waits, con i cori femminili a far da contrasto angelico alle melodie da lui talora appena accennate.

Gli stili dei vari brani vanno dal blues al gospel, da coloriture country a venature soul, dal r&b al folk.

IL MONDO POETICO DI COHEN

All’album il poeta e cantautore canadese affida le sue riflessioni disincantate sugli affanni e i problemi che la vita ci pone davanti tutti i giorni, sui “popular problems” di cui è intessuta la vita stessa.

Sono i temi a lui cari dell’amore, della perdita e della solitudine, del destino, del dolore e della violenza, della ricerca perenne dell’assoluto e del senso della vita.

L’autore si pone molte domande e ha pochissime risposte.

MUSICA E TESTO POETICO CHE CATTURANO L’ASCOLTATORE.

La musica dell’album è affascinante nella sua sobrietà. Le melodie sono cullanti, ipnotiche, solo abbozzate e declamate dalla voce profonda del cantautore, che comunica soprattutto emozioni.

I cori femminili nel riprendere e ripetere il refrain assieme a lui si incaricano di dar loro una forma levigata e suadente.

I testi poetici dell’autore di Suzanne e di Halleluja, di questo ebreo errante e intelletuale zen, sono sempre ispirati e profondi.

Musica e testo si integrano in maniera efficace e potente. Le voci femminili sono quelle di Charlean Carmon, Dana Glover e Donna Delory. Al violino Alexandru Bublitchi, alla chitarra James Harrah, al basso Joe Ayoub, alle percussioni e batteria Brian MacLeod.

CD
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I BRANI

SLOW

L’album si apre con Slow, dove su un basso ostinato Cohen ci espone le sue riflessione sul ritmo dell’universo, sul trascorrere del tempo e sulla caducità della vita. Un elogio della lentezza che il cantautore dice di aver sempre sentito nelle vene. “Non è perché sono vecchio, non è per la vita che ho fatto, sono sempre stato lento, la lentezza è nel mio sangue”.

Un elogio della lentezza giocato anche ironicamente su doppi sensi erotici, oltre che filosofici. “Sto rallentando la canzone, non sono mai stato veloce, tu vuoi arrivarci presto, io voglio arrivarci per ultimo”.

ALMOST LIKE THE BLUES

Segue Almost Like The Blues , un blues cupo che descrive guerre e genocidi, storie di violenze, una litania degli orrori. Mali del mondo che il suo sguardo non riesce a reggere e verso cui si sente impotente “Ho visto gente morire di fame, si uccideva, si stuprava. I loro villaggi erano in fiamme, tentavano di fuggire via. Non riuscivo a sostenere i loro sguardi, fissavo la punta delle mie scarpe… era tragico, era quasi come il blues”.

E allo scetticismo dei sapienti contrappone la semplicità dei peccatori “Non c’è alcun Dio nei cieli, e non ci sono inferi sotto noi, tanto dice il grande professore di tutto quel che c’è da sapere, ma ho ricevuto l’invito che un peccatore non può rifiutare, ed è quasi come la salvezza, è quasi come il blues”.

SAMSON IN NEW ORLEANS

Il terzo brano Samson In New Orleans è un inno straziante per il dolore e la desolazione provocate dall’uragano Katrina sulla città di New Orleans nel 2005, patria del jazz a lui tanto cara. L’introduzione è affidata a semplici accordi di organo elettronico. Le atmosfere si fanno allusive e metaforiche con il personaggio biblico che vuole abbattere le colonne del tempio calato nella realtà tragica post-inondazione. “Dicesti come può accadere, dicesti come può essere, non ci sono più catene in paradiso, gli uragani impazzano liberi… E noi che invocavamo pietà dal fondo della fossa, la nostra preghiera era forse così dannatamente indegna che il Figlio l’ha respinta? Riunite allora gli assassini, prendete chiunque in città, portatemi tra quei pilastri, lasciate che abbatta questo tempio”.

Ad aumentare il pathos, al centro e alla fine del brano, i cori angelici e l’intervento struggente del violino che intona un canto commovente e consolatorio.

A STREET

In A Street ricompare la desolazione e la consapevolezza che niente sarà più come prima all’indomani dell’attentato dell’11 settembre. È anche l’estremo saluto ad una persona amata. “Ho pianto per te stamani e piangerò per te di nuovo, ma non decido io per il dolore…”.

Semplicemente incantevole il refrain finale dove assieme alla sua voce roca si uniscono i cori femminili di Charlean Carmon e Donna Delory a chiosare “The party’s over, But I’ve landed on my feet, I’ll be standing on this corner, Where there used to be a street…” “La festa è finita, ma sono caduto in piedi, e me ne sto qui in quest’angolo, dove una volta c’era una strada”.

DID I EVER LOVE YOU

In Did I Ever Love You, su un intro di pianoforte acustico molto suggestivo, Leonard intona il suo monologo interiore sui tormenti e le lacerazioni dell’amore, fatto di sole domande a cui non sa dare risposte.

C’è qui tutto lo stordimento e il disorientamento verso quegli amori indefiniti e precari, fatti di disillusioni e rimpianti. “Ti ho forse mai amata, ho forse mai avuto bisogno di te, ti ho forse mai fatto la guerra, l’ho forse mai voluto?”. E i cori femminili che ripetono le domande senza risposta su un veloce e inatteso ritmo country-western. Dopo l’intervento anche qui del violino che tutto avvolge e ricompone riappare il monologo di Leonard ad intonare “Ti ho forse mai amata, ma importa poi davvero, ti ho forse mai fatto la guerra, non devi mica rispondermi…”.

MY OH MY

Anche il brano successivo My Oh My tratta il tema dei rimpianti e degli amori precari, dell’amarezza per qualcosa che non c’è più. Dopo l’apertura di una chitarra slide che richiama le sonorità del suo celebre conterraneo Neil Young, con un ritmo r&b sintetico e venature soul, la voce profonda del cantautore intona “Non è stato difficile amarti, non ho dovuto provare, ti ho avuta per un pochino…”. Mentre tutti gli altri ragazzi gesticolano per attirare la sua attenzione, lui l’ha avuta senza sforzo e senza provare. Per un po’. Ma poi non sa spiegarsi perché quell’amore sia finito, perché lui l’abbia lasciata andare. E come in una scena enigmatica di un film carica di rimpianti le dice “Ti ho accompagnato alla stazione , non ti ho mai chiesto perché…”.

NEVERMIND

Nevermind è dedicata alle vittime innocenti di tutte le guerre, affinché non vengano mai dimenticate.

Si intravede qui quella che forse le riassume tutte, l’eterno conflitto israelo-palestinese, allorché il canto arabeggiante di una voce femminile sembra intonare “Salaam” “La pace sia con voi”.

Il ritmo è pulsante con suoni sintetici di cassa elettronica e percussioni avvolgenti mentre la voce di Cohen e delle coriste si alternano a vicenda. “La guerra è persa, il trattato siglato, non mi hanno preso, ho passato il confine, non mi hanno preso, ma molti ci hanno provato. Vivo tra di voi ben mimetizzato, ho dovuto lasciarmi la vita alle spalle, ho scavato fosse che non troverete mai. La storia si racconta con fatti e menzogne, avevo un nome. Ma non importa, Non importa…”.

Fino appunto all’emergere della sinuosa melodia intonata dalla bellissima voce di Donna Delory, corista storica di Madonna.

BORN IN CHAINS

Semplici accordi di organo elettronico introducono la successiva e bellissima Born In Chains, dove le radici ebraiche dell’autore riemergono tutte in questo vero e proprio gospel laico. Meditazione potente e profonda e ricerca perenne sul senso della vita. Leonard rievoca le acque del Mar Rosso e invoca la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto per abbracciare “la Parola delle Parole e la Misura di tutte le Misure”.

Bellissimo il dialogo tra la sua voce roca e le voci angeliche della coriste in una melodia che sa di liturgico e di sacro. “Parola delle Parole e Misura di tutte le Misure, Benedetto sia il Nome, il Nome sia Benedetto. Scritto nel mio cuore in Lettere di fuoco. È tutto quel che so. Il resto non riesco a leggere…”

Il brano raggiunge vette altissime. La chiusura è incantevole con la dissolvenza di pianoforte, organo elettronico e cori femminili.

YOU GOT ME SINGING

You Got Me Singing è la degna conclusione di un album magnifico. Ballata folk senza tempo segnata dall’accompagnamento della chitarra acustica e del violino klezmer, con l’andamento cullante della melodia e la chiamata e risposta tra la voce di Leonard e la voce di Dana Glover.

Ritorna il tema a lui caro della condizione e della sofferenza umana contrapposta al divino, che laicamente può trovare una sua salvezza nell’esistenza stessa, nella parola e nei testi poetici, nella Musica stessa intesa come vita.

Cohen come il Re Davide della sua canzone forse più famosa, che scelse il peccato con Betsabea, ci canta la sua prigionia, le catene che lo tengono legato al suo passato.

E nonostante tutto il dolore e le desolazioni del mondo l’autore continua a sentire una spinta insopprimibile a cantare la sua canzone laica e il suo inno di Halleluja alla vita. “Mi hai fatto cantare come un galeotto in prigione, mi hai fatto sperare che il nostro piccolo amore duri…Mi hai fatto cantare anche se il mondo non c’è più, mi hai fatto pensare che mi piacerebbe andare avanti. Mi hai fatto cantare anche se tutto è andato storto, mi hai fatto cantare quel canto di Halleluja”.

Grazie Leonard. Trentase minuti di pura bellezza. E tu, se mi stai leggendo, prova ad ascoltare lentamente” quest’album. Sarà un’esperienza emozionante e lo riascolterai sicuramente tante altre volte.

Spotify: Album: Popular Problems

https://open.spotify.com/album/1WkGbKUjhOMru7uYl25jJb?si=rt6MpjphSqmenvnRrRZniA

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