Di Massimo Torsani
Credo di non aver spiegato a sufficienza la mia analisi dei meccanismi di formazione della classe dirigente, in relazione al pietoso spettacolo che essa ha mostrato in questa elezione presidenziale. Nella mia elaborazione in qualche modo tengo conto dei rilievi svolti in altri interventi in proposito.
Meccanismi di selezione della classe dirigente.
Le classi dirigenti raramente si sono formate con un meccanismo democratico. Per lo più alla loro composizione ha presieduto un meccanismo di selezione (in base a vari parametri) e/o cooptazione.
Per esempio in alcune culture tribali il capo è selezionato in base alla sua forza, con combattimenti nei quali deve prevalere. Mentre il consiglio tribale è composto per anzianità ed è il medesimo a cooptare quanti devono entrarvi in sostituzione dei deceduti.
In Europa, dopo la formazione delle monarchie costituzionali, la classe dirigente è stata formata in base ad un meccanismo di selezione in base al censo ed al livello culturale e di cooptazione dei più giovani da parte di quelli che già la componevano. Tutto questo in un quadro in cui l’etica del capitalismo, come analizzata da Max Weber, imponeva una rigida accettazione della logica del bene comune. Questa coincideva ovviamente con quello del bene individuale della classe abbiente.
Nel nostro paese i meccanismi di selezione/cooptazione hanno quasi sempre premiato l’interesse personale egoistico, la corruttibilità, la perpetuazione di se stessa e del potere dei suoi membri. Questo probabilmente per il ritardo nella formazione dello stato unitario. Anche però per il multi-centrismo spinto generato da tale ritardo ma anche da altri fattori. Pe esempio la ricchezza di quello che un tempo era stato il cuore dell’impero romano. Ma anche la presenza dello stato pontificio che ha impedito processi di unificazione molto anticipati, così come si sono svolti in altri paesi.
Risorgimento e Resistenza
Solo, come ho già affermato, in due occasioni: con il Risorgimento e con la Resistenza, il meccanismo di formazione della classe dirigente ha selezionato un quadro politico di alto valore etico e culturale e di profondo senso delle stato. Dissento completamente dall’affermazione di Giuseppe, secondo la quale il conflitto favorisce la radicalizzazione e la semplificazione. O meglio questo è forse anche vero ma non quando l’altro contendente è esterno, come l’impero Austro ungarico o come il Terzo Reich. Da considerare che il nemico interno della Resistenza rimane in un certo senso fuori anche dalla prima repubblica, in cui viene coniato il termine di arco costituzionale.
Col Risorgimento la classe dirigente è formata dai sopravvissuti alla Repubblica Romana, alle battaglie di Curtatone e Montanara, all’impresa dei Mille. Va allora al potere quella destra storica che porterà il paese al pareggio del bilancio: quindi non stiamo parlando certo di una fase economica espansiva. Superata la generazione dei risorgimentali inizia il periodo giolittiano degli scandali e della corruzione, che attraverso molti travagli ed una malaugurata guerra mondiale condurrà al fascismo.
Anche la classe dirigente formata nell’esilio, nel confino, nella clandestinità, nella lotta partigiana non esordisce certo in un’epoca di condizione economica espansiva: l’assemblea costituente precede di un anno il discorso del segretario di stato americano che annuncia la futura realizzazione del piano Marshall. Lo sviluppo economico arriverà a metà degli anni cinquanta e diventerà boom nella prima metà dei sessanta.
Il ‘68
Il ‘68 forse è un discorso a parte, in cui la logica del conflitto-scontro che radicalizza e semplifica ha molto più senso. Qui, insieme a personaggi di elevato rigore morale ed assoluto disinteresse, diventano dirigenti molti opportunisti, pronti infatti a cambiar bandiera appena arriva chi offre un futuro personale migliore.
Quello però che è più interessante avviene poco dopo. Ci sono il golpe in Cile e ad alcuni pernotti di alti dirigenti del sindacato e del partito i case sicure per timore di un golpe anche qui da noi. Enrico Berlinguer comincia a rendersi conto dei limiti oggettivi alla via italiana al socialismo dati dall’equilibrio bipolare. Lui, che forse aveva accarezzato l’idea di una Italia alla testa del movimento dei paese non allineati, comincia a parlare di compromesso storico con Aldo Moro.
Comunque la vera trasformazione della classe dirigente italiana l’abbiamo con il craxismo e la fine della Prima Repubblica. È vero: a determinarla non concorrono solo la sostituzione, per età, di quella uscita dalla Resistenza, ma anche dei processi esterni. La globalizzazione crea limiti sempre più stringenti alle autonomie nazionali. Avviene la fine di un’era di espansione economica che portava chiunque a pensare che il futuro sarebbe stato comunque migliore del passato. Tutto ciò condiziona non solo il meccanismo di selezione della classe dirigente ma anche composizione, cultura e comportamenti della società civile. Questo è forse il cuore del problema e su questo va concentrata l’analisi.
La riflessione della società civile
Vorrei soffermarmi su di un elemento: la riflessione della parte più sensibile ed interessata della società civile su di una progettualità politica è stata frenata dalla consapevolezza che in questo mondo globalizzato non c’è più spazio per soluzioni e progetti politici nazionali. A fronte di ciò non è stato utilizzato adeguatamente lo strumento internet. Capace questo di mettere in collegamento riflessioni e progettualità provenienti da ogni parte del mondo.
Si è abbandonato ai social media ed alla trasposizione sullo smartphone delle chiacchiere da bar l’enorme potenzialità di questo strumento. I gruppi od i meccanismi che dirigono la globalizzazione hanno vinto o c’è ancora spazio per un agire?