L’occasione della travagliata

Di Giuseppe Santilli

L’occasione della travagliata rielezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica può, in effetti, essere utilizzata per fare il punto sulla crisi della politica. Credo che, tuttavia, in questa vicenda, si debba sgombrare il campo, in via preliminare, alla contrapposizione tra parlamento e leaders dei partiti. Secondo molti commentatori il parlamento, i grandi elettori grandi, a differenza dei partiti, avrebbero salvato l’Italia da un pericoloso periodo di destabilizzazione. Se questo è vero lo è solo incidentalmente: i parlamentari hanno in primis salvato se stessi, scongiurando la fine anticipata della legislatura.
Il livello dei politici italiani è basso e gli unici ancora che sembrano avere il senso della politica sono gli ex democristiani e qualche ex comunista.
Non sono convinto che il conflitto (o peggio lo scontro) favorisca l’emergere di una valida classe dirigente. L’esperienza mi dice che il conflitto tende a semplificare, a creare schieramenti e radicalità. Semmai il problema è l’eccessiva democratizzazione (falsa) della politica, la semplificazione che getta via il bambino con l’acqua sporca.
Fino al punto che nelle discussioni, a volte, si è costretti a ricordare che anche nella situazione attuale i politici non sono tutti uguali e senza la dimensione della politica finisce la convivenza civile.
Vorrei qui accennare a qualche elemento su cui varrebbe (forse) la pena di riflettere, per rendere la complessità della caduta verticale della qualità dei politici.
1. Il paragone con il dopoguerra e le lotte studentesche del ’68 mi pare che rischi di essere fuorviante. Sono stati periodi di grande sviluppo economico che facevano intravedere un domani sempre migliore dell’oggi.
2. Il bene comune non c’è più. Semmai ci sono i BENI comuni, le proprietà pubbliche. Viviamo in una società globale di imperante individualismo e di dominio delle cose. Basta guardarsi intorno con gli occhi giusti e vedere un panorama devastato dall’attività umana. I paesaggi rendono visivamente la cifra di un’epoca.
3. Mancano progetti politici che siano tali. E’ assente completamente una visione del futuro. Si parla in questi giorni delle tensione nel movimento 5 stelle e della variabilità delle posizioni. Il problema non è tanto il cambio di visioni tanto da far pensare alla versione meno nobile della tradizione del trasformismo italiano. Il problema è che i mutamenti non sono fondati, non hanno motivazione, perché privi di un ancoraggio politico (se non occasionale )
4. Sono almeno 20 anni che in Italia, nei sindacati e nei partiti, diffusamente, la linea politica è contingente, piegata e ritagliata in subordine alle carriere e al potere individuale dei dirigenti. La conseguenza diretta è che sono 20 anni che i gruppi dirigenti vengono selezionati in base a caratteristiche che guardano la fedeltà di appartenenza a cordate e alla disponibilità ad eseguire . Sono 20 anni che le capacità politiche vengono considerate con sospetto, quando non considerate del tutto pericolose.
5. In un’epoca nella quale ritorna lo spettro della guerra in Europa ( nel mondo c’è sempre stata), la politica, a parte qualche eccezione, appare sempre di più come la fiera della vanità, dell’effimero. Una giostra dove si tenta di rimanere attaccati, così come si rimane attaccati alla finzione del bene comune.