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Pasta alla vesuviana

Pasta alla vesuviana

Come al solito queste sono le mie ricette: non cercate qui il procedimento canonico per certi tipi di pietanza conosciute. Mi sono ispirato ad un piatto che esiste e che utilizza ingredienti tipicamente napoletani come il fior di latte ed il pomodoro San Marzano. L’ho poi rielaborato a modo mio.

Per conserva non intendo il pomodoro fatto in casa sotto forma di pelati o di passata, bensì un prodotto molto più concentrato del doppio concentrato di pomodoro in vendita in tubetto o barattolo, assimilabile all’estratto di pomodoro siciliano, che io mi faccio spedire da un rivenditore di Siracusa e che ho visto in vendita nei negozi di Eataly, specializzato nel recupero e la commercializzazione di prodotti tradizionali regionali.

Ricordo che mia nonna realizzava un prodotto molto concentrato mettendo a scolare il pomodoro passato in una federa di cuscino appesa, e poi, quando si era persa molta dell’umidità, metteva il composto risultante ben steso su di una tavola di legno, per giorni al sole ad asciugare.

So che l’estratto siciliano ha un procedimento simile ma parte da una passata di pomodoro salata e cotta. Credo che la tradizionale conserva napoletana di cui parlano i libri di cucina storici, sia fatta così, ma non ne sono sicuro.

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Caprese

Caprese

Come tutti i piatti semplici particolarmente importante è la qualità degli ingredienti. La mozzarella può essere di bufala o fior di latte ma deve essere molto fresca (non badate alle date di scadenza: se è verso la fine anche se non scaduta non serve).

Disdegnate le mozzarelle imbustate delle grandi case (tipo Locatelli o Galbani). Cercate il più possibile di trovare, bufala o mucca che sia, prodotti napoletani, del basso Lazio, del Molise o della Puglia. La mozzarella buona è salata di suo. Ne va tenuto conto quando si condisce.

Molto importante è anche l’olio: di oliva extravergine, possibilmente non comprato nei supermercati. Direte: quante storie, ma apprezzerete il risultato.

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Gattò di patate

Gattò di patate

Il gattò di patate è un piatto celebre napoletano. Oggi è usato nelle pizzerie come antipasto all’interno del cuoppo di fritti, ma utilizzabile anche come piatto forte, deriva il suo nome dal francese gateau.

Nel ‘700 la sposa, Asburgo, del re di Napoli, Borbone, si fece mandare da sua sorella Maria Antonietta, regina di Francia, numerosi cuochi francesi perché trovava la cucina napoletana di allora troppo influenzata da quella spagnola.

Questi arricchirono una torta salata francese a base di patate, che rappresentava uno dei primi utilizzi in Europa di questo tubero proveniente dalle Americhe e per due secoli e più guardato con sospetto.

Nel nostro continente l’unica solanacea, famiglia di piante commestibili, conosciuta era la mandragola, usata in alchimia. I consumatori guardarono a lungo con sospetto le quattro solanacee commestibili, patate, peperoni e pomodori provenienti dalle Americhe, melanzane provenienti dall’Asia centrale.

Solo il peperoncino piccante, pepe dei poveri, ebbe da subito, nel ‘500, un immediato successo ed un’esplosiva diffusione.

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Mozzarella in carrozza

Mozzarella in carrozza

Un piatto da inserire tra gli antipasti anche di un pranzo importante, ma anche un saporito spuntino od un secondo gustoso, anche se pesante.

Due consigli: se potete decidere con anticipo, due o tre giorni prima preparate le fette di pane e conservatele fuori dal frigo due o tre giorni, coperte solo da un tovagliolo. Scolate la mozzarella dalla sua acqua e conservatela il frigo anch’essa per due o tre giorni.

In questo modo perderanno parte dei loro liquidi ed assorbiranno meglio l’uovo senza rilasciare troppa umidità friggendo.

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Panzerotti a modo mio

Panzerotti a modo mio

Ero in ginocchio su una sedia, davanti alla spianatoia. Mia nonna impastava. Tagliava l’impasto dandogli la forma di palline, poi stendeva con il mattarello. A mi dava un pezzetto di pasta da stendere ed io, con un mini mattarello, giocavo ad imitarla. Ogni volta che preparo un prodotto da forno con un impasto ritorno a quei momenti felici. In effetti il semplice ed antichissimo lavoro di impastare acqua e farina e di stendere l’impasto è distensivo. Tocca dentro di noi qualche corda che ci riconnette al nostro passato ancestrale e ci fa sentire in pace con la natura.

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