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Riflessioni sull’elezione di Mattarella

Di Massimo Santucci

Il lungo applauso che ha sancito il raggiungimento del quorum da parte di Mattarella è in realtà un applauso all’incapacità di questi partiti e di questi politici di raggiungere un accordo su un nuovo nome che garantisse comunque il proseguimento della linea perseguita finora dal Quirinale con Draghi e la sua maggioranza da tutelare e rilanciare. Si è finito invece perfino a indebolire il Governo e la sua maggioranza, con partiti divisi al loro interno , con un centro destra diviso e lacerato, con un centro sinistra incapace di proporre e gestire una linea propositiva impantanati nel dualismo insignificante di Letta/Conte. Brutta storia ed epilogo minimale che sancisce più un futuro problematico e minimalista che una prospettiva di riforma e rinascita, l’unica che questo Paese richiedeva. Niente applausi allora , solo silenzio e preoccupazione.

A giochi fatti si cerca di aggiustare il tiro. Mattarella rieletto sembra la soluzione migliore, nonostante la sua indisponibilità che, peraltro, una volta vista la situazione di impasse, aveva ritirato. Ma resta l’incapacità di leader, partiti, coalizioni, della politica nel suo complesso, di esprimere un nome nuovo su cui rilanciare le Istituzioni con nuove prospettive. Questa incapacità ha finito per logorare il quadro politico, a cominciare dal Governo, mettendo in pericolo l’unica certezza attuale, Mario Draghi.

Questo logorio dovuto a proposte respinte , iniziative mancate, nomi bruciati, ha spezzato il centrodestra, mettendo gli uni contro gli altri Forza Italia e il duo Meloni /Salvini. Nel centrosinistra l’alleanza tra Letta e Conte si è dimostrata evanescente, priva di una seria iniziativa sulla quale radunare almeno una maggioranza trasversale agli schieramenti. Il vuoto della politica ha portato una febbre nella maggioranza di Governo acuendo non solo la debolezza delle coalizioni ma dividendo gli stessi partiti al loro interno. Mancano leader capaci, strategie e analisi di lungo periodo, politiche capaci di entusiasmare in elettorato disilluso e assente se e’ vero che di recente i Sindaci sono stati eletti da metà degli aventi diritto al voto. Un quadro desolante che richiede un profondo cambio generazionale, una nuova classe politica, diverse aggregazioni, nuovi entusiasmi che certo queste elezioni del nuovo Presidente dimostrano di richiedere urgentemente. Unica speranza il dualismo Mattarella/Draghi garanti verso l’Europa e il Paese reale. Ma avranno vita dura con questi partiti e questi leader…in attesa che qualcosa anche tra quest’ultimi possa cambiare.

La rielezione di Sergio Mattarella, al di là dei meriti della persona, rappresenta più una scelta forzata, in assenza di alternative, tesa al mantenimento della situazione attuale, soprattutto a garanzia del Governo Draghi. Le proposte bocciate, l’assenza di larghe intese, la mancanza di prospettive, l’aver logorato il quadro politico, compreso il Governo, la carenza di leadership e proposta di tutti i leader, rendono queste elezioni presidenziali l’ennesima dimostrazione di una politica distante e astratta, priva di riferimenti alle esigenze vere del Paese. Unica nota positiva la conferma di Mattarella e Draghi che restano comunque ai loro posti ma in un quadro frammentato e litigioso, privo di sinergie e progetti comuni: per loro si prospettano anni difficili se non impossibili senza in ricambio di questi partiti e di questa classe politica.

L’occasione della travagliata

Di Giuseppe Santilli

L’occasione della travagliata rielezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica può, in effetti, essere utilizzata per fare il punto sulla crisi della politica. Credo che, tuttavia, in questa vicenda, si debba sgombrare il campo, in via preliminare, alla contrapposizione tra parlamento e leaders dei partiti. Secondo molti commentatori il parlamento, i grandi elettori grandi, a differenza dei partiti, avrebbero salvato l’Italia da un pericoloso periodo di destabilizzazione. Se questo è vero lo è solo incidentalmente: i parlamentari hanno in primis salvato se stessi, scongiurando la fine anticipata della legislatura.
Il livello dei politici italiani è basso e gli unici ancora che sembrano avere il senso della politica sono gli ex democristiani e qualche ex comunista.
Non sono convinto che il conflitto (o peggio lo scontro) favorisca l’emergere di una valida classe dirigente. L’esperienza mi dice che il conflitto tende a semplificare, a creare schieramenti e radicalità. Semmai il problema è l’eccessiva democratizzazione (falsa) della politica, la semplificazione che getta via il bambino con l’acqua sporca.
Fino al punto che nelle discussioni, a volte, si è costretti a ricordare che anche nella situazione attuale i politici non sono tutti uguali e senza la dimensione della politica finisce la convivenza civile.
Vorrei qui accennare a qualche elemento su cui varrebbe (forse) la pena di riflettere, per rendere la complessità della caduta verticale della qualità dei politici.
1. Il paragone con il dopoguerra e le lotte studentesche del ’68 mi pare che rischi di essere fuorviante. Sono stati periodi di grande sviluppo economico che facevano intravedere un domani sempre migliore dell’oggi.
2. Il bene comune non c’è più. Semmai ci sono i BENI comuni, le proprietà pubbliche. Viviamo in una società globale di imperante individualismo e di dominio delle cose. Basta guardarsi intorno con gli occhi giusti e vedere un panorama devastato dall’attività umana. I paesaggi rendono visivamente la cifra di un’epoca.
3. Mancano progetti politici che siano tali. E’ assente completamente una visione del futuro. Si parla in questi giorni delle tensione nel movimento 5 stelle e della variabilità delle posizioni. Il problema non è tanto il cambio di visioni tanto da far pensare alla versione meno nobile della tradizione del trasformismo italiano. Il problema è che i mutamenti non sono fondati, non hanno motivazione, perché privi di un ancoraggio politico (se non occasionale )
4. Sono almeno 20 anni che in Italia, nei sindacati e nei partiti, diffusamente, la linea politica è contingente, piegata e ritagliata in subordine alle carriere e al potere individuale dei dirigenti. La conseguenza diretta è che sono 20 anni che i gruppi dirigenti vengono selezionati in base a caratteristiche che guardano la fedeltà di appartenenza a cordate e alla disponibilità ad eseguire . Sono 20 anni che le capacità politiche vengono considerate con sospetto, quando non considerate del tutto pericolose.
5. In un’epoca nella quale ritorna lo spettro della guerra in Europa ( nel mondo c’è sempre stata), la politica, a parte qualche eccezione, appare sempre di più come la fiera della vanità, dell’effimero. Una giostra dove si tenta di rimanere attaccati, così come si rimane attaccati alla finzione del bene comune.

Non credo che poche righe

Di Osvaldo Mazzucca

Caro Massimo, non credo che poche righe possano bastare per comprendere il motivi che hanno contribuito al degrado della politica italiana e di chi la esercita.
Come ho già avuto modo di dirti, sembra, da come scrivi, che se non ci sono grandi sconvolgimenti nazionali, la classe politica non si affina. Certamente in occasione di eventi luttuosi e tragici, che coinvolgono i destini del paese, molte rivalità e distinguo vengono messi da parte, c’è da pensare concretamente al bene comune. Io ritengo che questa decadenza sia il frutto di molti fattori, non ultimo la ritirata dei partiti dal territorio. Ma anche l’era berlusconiana, derivata dalla Milano da bere. Che comunque ha espresso anche uomini di spessore e non ne sto giudicando l’etica, ma la condotta politica. Il ’68, “rivoluzione” che abbiamo importato prima dagli USA e poi da Parigi , siamo stati in grado di declinarla quasi unicamente in maniera violenta. Anche lì, qualche uomo politico era emerso; le contingenze, le scelte errate, li hanno affossati.
E’ pur vero che l’attuale volto della politica italiana, è impresentabile, ma non dimenticare l’ultima onda populista di lega e grillini, uomini e donne improvvisati senza le basi e le strutture mentali politiche. La questione è molto articolata e non si può liquidare in quattro righe, mettiamoci intorno ad un tavolo con una bella birra e parliamone coinvolgendo anche qualche amico. un saluto

L’elezione del Presidente

L’elezione del Presidente

L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE

Di Massimo Torsani

Credo che tutti concordino sullo spettacolo indecoroso offerto dal ceto politico riunito in conclave per questa tornata di elezioni presidenziali. Aggiungerei anche offerto dal balletto dei commentatori chiamati dai mass media a dire tutto ed il contrario di tutto. Ma questo è il mestiere di giornali e televisioni.

Il secondo mandato nell’elezione del Presidente

Forse non altrettanto concordi si è sulle motivazioni di tutto ciò. L’elezione del Presidente della repubblica ha portato secondo me all’unica soluzione possibile: il secondo mandato al povero Mattarella. Povero perché forse avrebbe voluto trascorrere gli ultimi anni della vita nella sua Palermo. Il senso di responsabilità nei confronti della nazione glielo ha impedito.

Ripeto la domanda che ho già avuto occasione di porre: cosa succederà fra sette anni?

L’Italia unita ha avuto solo due volte nella sua non lunga storia, una classe politica dirigente all’altezza: dopo il Risorgimento e dopo la Resistenza. Cioè le classi politiche selezionate nel fuoco delle scontro. Questo non significa affermare che solo da grandi sconvolgimenti gli italiani siano capaci di ritrovare il filo del bene comune. Non è un discorso riferito al popolo di questo paese, bensì al meccanismo di selezione della classe dirigente.

Il meccanismo di selezione e l’elezione del Presidente

Negli altri non lo so, ma in Italia il meccanismo di selezione della classe dirigente, tranne che nelle due occasioni succitate, funziona al contrario: cioè premia i peggiori. Ho spesso sentito affermare che la classe politica è lo specchio del paese reale, ma non concordo con questa affermazione. La classe politica rappresenta il peggio del paese reale perché in tal senso è stata selezionata. I più corrotti e corruttibili, ruffiani e portaborse, portatori di due facce e votati esclusivamente al potere ed alla sua conservazione.

In questo senso le loro leadership sono ancora peggiori. Infatti si è visto in questa tornata elettorale come la platea di Montecitorio, insieme al paese reale, abbia alla fine fatto emergere, quasi imposto, Mattarella vincendo le resistenze dei loro leader, che non hanno scelto Mattarella, come adesso tutti stanno affermando, ma si sono arresi a questa scelta.

Letta è vero ha mantenuto un basso profilo nell’elezione del Presidente e si è imbrattato meno di altri, ma la sensazione forte è che lo abbia fatto perché non avesse nulla da dire, per ignavia. Certo, quando non si ha nulla di serio da dire e meglio starsi zitti e di questo bisogna dargliene atto.

Galantuomo

Di galantuomini in Italia ancora ce ne sono, uomini e donne. Da Bersani a Rosy Bindi ad altri. Ma l’essere galantuomini, avere a cuore l’interesse del paese e metterlo innanzi al proprio è una condizione necessaria ma non sufficiente per essere Presidente della repubblica. Bisogna anche essere un uomo politico. Mi dispiace am a parte Mattarella con queste caratteristiche non ne vedo.

Il ’68

Il ‘68 ha rappresentato un altro momento particolare in questo paese, ma che non ha interessato, se non marginalmente, la classe politica ed il suo meccanismo di selezione. Comunque quel periodo conferma le mie affermazioni sul meccanismo di selezione formato nel fuoco dello scontro perché è così che si è formata la classe dirigente del Movimento prima, dei Gruppi extraparlamentari poi. Finché lo scontro ha tenuto quel meccanismo si è mostrato efficiente. Poi lo sfascio e l’inizio dell’era della Milano da bere.

Tanto è vero che agli inizi degli anni ‘80 quel PCI che già mostrava segni evidenti di declino della sua dirigenza a tutti i livelli, aveva aperto la caccia a tutti i fuoriusciti dei gruppi per inserirli nei suoi quadri. Io stesso sono stato contattato dalla federazione romana e mi sono state fatte delle offerte se avessi preso la tessera e fossi entrato a far parte dell’organizzazione. Ho declinato ed ora osservo con piacere dall’esterno. Con piacere non per cosa osservo ma perché sono all’esterno.

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Il governo Draghi

Il governo Draghi

Un’operazione in puro stile democristiano.

Mario Draghi e il governo Draghi
Mario Draghi

Per favore non chiamate il governo Draghi: Governo di unità nazionale, né tantomeno Governo tecnico. Lo sono stati, forse, in passato il governo Ciampi e quello Monti, ma non questo. Si tratta di una operazione squisitamente politica condotta magistralmente (visto che ha ottenuto il plauso quasi unanime di stampa, formazioni politiche ed opinione pubblica).

La caduta di Conte

Conte e il governo Draghi
Conte

Tutto comincia quando viene fatto cadere il governo Conte. Prima di ciò risultano, ai primi di gennaio, incontri tra Draghi e vari politici, fra cui Renzi, a Città della Pieve. Non risultano documentati invece contatti di Mattarella con l’uno e l’altro, ma non è improbabile che ci siano stati, a giudicare da quello che avviene dopo che Conte ha rassegnato le dimissioni.

Il governo Conte viene liquidato quando è in discussione la gestione dei Recovery Fund. Le motivazioni, a mio avviso, sono due: la prima è che, come dicono a Napoli, nun se da a pucchiacca a i creature. In altre parole si tratta di una questione troppo importante per lasciarla in mano a degli incompetenti. La seconda e più importante è che quell’intervento così massiccio e capace di ridisegnare la geografia strutturale del paese, Mattarella vuole che sia speso a vantaggio dell’Italia.

Il governo del Presidente

Mattarella
Presidente Mattarella

Il Presidente è un democristiano vecchio stampo, forse l’ultimo rimasto, non un ladro di polli come i politici attuali. Non si tratta quindi di fare il governo Draghi per spartirsi la polpetta. Il problema che l’Italia di cui si parla è quella che un tempo si sarebbe definita dei padroni. Oggi si dice della Confindustria, delle banche, dei poteri forti: linguaggio diverso ma il risultato non cambia.

Così il Colle chiama al rapporto la consistente componente democristiana in PD e Forza Italia ed incarica Mario Draghi, nel tripudio di tutti. Aderiscono a frotte, politici e partiti di ogni schieramento, praticamente con la sola eccezione di Fratelli d’Italia, che però quando Salvini propendeva per il no, parlava di astensione.

Le pecche dell’ operazione

Due sono le pecche, io credo, di questo disegno politico: La prima è che si è lasciato un partito all’opposizione a destra, sospetto per calcolo intelligente ed accordo mascherato, ma non si è fatto lo stesso a sinistra. La storia recente degli anni di piombo ci insegna quanto sia pericoloso non riuscire a dare una risposta ad un dissenso che già si delinea nel paese.

Salvini
Salvini

L’altra riguarda il populismo e soprattutto la Lega. Molti, tra cui Ezio Mauro, ritengono che il coinvolgimento porterà necessariamente ad una svolta europeista e di integrazione nel sistema politico di questa formazione. Questo, a mio avviso, è un madornale errore.

Salvini e Trump

Trattare Salvini ed il sovranismo come in passato le classi politiche italiana e tedesca di allora hanno trattato rispettivamente Mussolini ed il fascismo negli anni venti e Hitler ed il nazismo negli anni trenta, significa scherzare con il fuoco. Questo proprio quando negli Sati Uniti Trump ha vinto la sua battaglia al congresso sul procedimento di impeachment e si appresta a rientrare sulla scena politica.

Donald Trump
Donald Trump

Chi contrasterà questo futuro oscuro che si prepara? Zingaretti e Biden? Non scherziamo.

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