Tag: cucina romanesca

Melanzane a funghetto

Melanzane a funghetto

Sarebbe più corretto dire marignane a funghetto. Infatti a Roma si chiamano marignane e questo è un piatto romano. Anzi, oserei dire, è uno dei piatti romani per eccellenza. È facile parlare di coda alla vaccinara o di rigatoni con la pajata: tutti sanno che sono piatti romani per antonomasia.

Ma nelle case della capitale, nella cucina di tutti i giorni, quella tradizionale però e ovviamente d’estate, le melanzane a funghetto hanno un posto particolare. Entri in casa quasi ad ora di pranzo e cominci a sentire quell’odore amarognolo e stuzzicante che viene dalla cucina. La nonna ti dice: vai a lavarti le mani che sono quasi pronte le marignane.

All’inizio un piatto di pasta al sugo: una volta non era pensabile mangiare soltanto un secondo. Poi del prosciutto affettato, un pezzo di provolone, una mozzarella e quella padella che scoperchiata lascia diffondere quel profumo paradisiaco che hai già pregustato entrando. Ecco un leggero pranzo estivo romano di una volta.

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Saltimbocca alla romana

Saltimbocca alla romana

Piatto velocissimo da preparare e da cuocere. Oggi le macellerie ve li propongono pronti da mettere in padella. Un tempo la macelleria vendeva carne. Oggi vende sogni, fantasia, idee per gente che lavora ed è troppo occupata per perdere tempo a seguire una ricetta.

Comunque chi si rivolge alla macelleria invece che al banco gastronomia di un ipermercato, ha comunque delle velleità che, scontato il poco tempo a disposizione, sono comunque meritevoli di seguire delle indicazioni per utilizzare il semilavorato acquistato già pronto per la cottura. Allora non limitatevi a seguire i consigli del macellaio ma dedicate il poco tempo che vi rimane a ricette come questa.

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Coda alla vaccinara

Coda alla vaccinara

La coda alla vaccinara è uno dei piatti più tipici, più intimamente romani. Piatto diffuso nelle trattorie a Testaccio, vicino all’ex mattatoio, come Turiddu, che ora non esiste più, dove l’ho mangiata per la prima volta. L’ho poi rimangiata, sempre a Testaccio, alla piazza del mercato, da Felice.

Questa trattoria merita una due parole. Mi ci ha portato per la prima volta un mio amico che aveva lavorato come elettricista al teatro dell’opera. Era infatti un locale frequentato da gente del mondo dello spettacolo e da operai del quartiere. Felice era un vero personaggio: prendeva le ordinazioni brontolando, ciabattava con i piedi piatti verso la cucina, era brusco e ti portava quello che voleva lui. Quando una volta gli hanno chiesto cosa ci fosse come dolce, ha risposto: ” A vòi ‘na bustina de zucchero?”.

Da Felice si entrava solo su presentazione. Volevo portarci mio figlio ed ho chiesto al farmacista lì vicino che mi ha consigliato di andarci a suo nome. Ho visto personalmente mandare via dei clienti che volevano entrare, con la sala praticamente vuota, solo perché lui non li conosceva. Però si mangiava la vera cucina romanesca come a casa propria. Oggi a piazza del mercato il mercato non c’è più. Felice è morto. Il locale è stato ereditato credo dai figli. Si mangia sempre bene ma non è più la stessa cosa: il tempo passa e le cose belle se ne vanno. Ma forse questo lo dicono sempre i vecchi come me.

La coda è detta anche la regina del quinto quarto. Il bovino si divide in quattro quarti, due anteriori e due posteriori. La lingua, la coda e le interiora costituiscono il cosiddetto quinto quarto, un tempo appannaggio dei poveri perché si trattava di carne che costava poco. Oggi per comprare la pagliata o la coda bisogna vendere un rene al mercato nero. Se non ci credete andate ad ordinarla al macellaio alla piazza del mercato a Testaccio, dove mi servo io.

P.S. Da notare che il cacao non è una delle solite variazioni dell’estroso Massimo ma fa parte della ricetta originale, risalendo probabilmente molto indietro nel tempo, a prima dell’utilizzo del cioccolato come dolce.

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Carciofi alla romana

Carciofi alla romana

La materia prima

Si utilizzano i carciofi romaneschi ma non necessariamente i cimaroli (il carciofo centrale della pianta, più grosso e più bello ma più costoso) che impiegherete invece se volete fare bella figura. Si possono oggi usare cimaroli di altre varietà e provenienze. Ci sono per esempio ottimi carciofi pugliesi. Non sono proprio la stessa cosa ma questo permette di estendere notevolmente la stagione, considerando che invece il vero carciofo romanesco dura si e no un mese.

La lavorazione

I carciofi alla romana non sono da confondere con i carciofi alla Giudea, che sono tutt’altra cosa. Bisogna usare tantissimo olio se no non vengono (eventualmente potete conservarne parte in un vasetto in frigorifero per un’altra volta). È indispensabile la maggiorana, possibilmente fresca. Queste erano le regole di mia nonna: pessimo carattere ma una maga in cucina.

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Rigatoni con la pajata

Rigatoni con la pajata

La regina delle pastasciutte romane. Chi non è di questa città può credere impossibile mangiare il budello non lavato all’interno di un animale. La pajata, per essere commestibile, prevede che l’animale non abbia mangiato da 24 ore prima della macellazione. Il chimo nell’intestino tenue ha quindi avuto il tempo di trasformarsi in chilo e di acquistare un sapore dolce e delicato. Prima impiegavo moltissimo tempo per pulirla, seguendo i sacri dettami della cucina romanesca trasmessimi da mia nonna. Poi un amico romano, macellaio in pensione ed esperto nel prodotto, mi ha consigliato di non spellarla, lavoro rognosissimo. In effetti, trattandosi di pajata di vitello da latte e dovendola cuocere al tegame, è ragionevole. È bastato aumentare un poco i tempi di cottura per avere un risultato tenerissimo. Per chi non è romano: provatela e mi ringrazierete. Avvertenza: l’interno del budello deve essere bianco, non verde, ed essere, da crudo, dolce al palato. Altrimenti riportatela a chi ve l’ha venduta.

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