La regina delle pastasciutte romane. Chi non è di questa città può credere impossibile mangiare il budello non lavato all’interno di un animale. La pajata, per essere commestibile, prevede che l’animale non abbia mangiato da 24 ore prima della macellazione. Il chimo nell’intestino tenue ha quindi avuto il tempo di trasformarsi in chilo e di acquistare un sapore dolce e delicato. Prima impiegavo moltissimo tempo per pulirla, seguendo i sacri dettami della cucina romanesca trasmessimi da mia nonna. Poi un amico romano, macellaio in pensione ed esperto nel prodotto, mi ha consigliato di non spellarla, lavoro rognosissimo. In effetti, trattandosi di pajata di vitello da latte e dovendola cuocere al tegame, è ragionevole. È bastato aumentare un poco i tempi di cottura per avere un risultato tenerissimo. Per chi non è romano: provatela e mi ringrazierete. Avvertenza: l’interno del budello deve essere bianco, non verde, ed essere, da crudo, dolce al palato. Altrimenti riportatela a chi ve l’ha venduta.
Rimuovere il grasso sul bordo dell’intestino stando attenti a non romperlo.
Prendere una estremità del budello e sovrapporla circa 20 centimetri dopo formando un anello. Legare con un filo da cucito.
Tagliare l’anello così formato e proseguire.
Tritare cipolla e sedano.
Soffriggere in olio e strutto, cipolla, sedano e lardo.
Aggiungere gli anelli e rosolare a fiamma medio bassa.
Girare gli anelli delicatamente.
Tritare aglio e prezzemolo ed aggiungerli nel tegame.
Versare un bicchiere di vino rosso e far evaporare.
Sciogliere l’estratto con un poco di acqua ed aggiungere. Mescolare e versare anche la passata.
Dopo cinque minuti coprire di acqua a filo, far riprendere il bollore, abbassare al minimo la fiamma, coprire e cuocere per due ore e mezza aggiungendo poca acqua se necessario e mescolando ogni tanto sempre con delicatezza.
Lessare i rigatoni. Separare gli anelli mettendoli in un’insalatiera.
Scolare la pasta al dente e saltarla nel tegame con la salsa.
Spegnere la fiamma. Aggiungere due o tre cucchiai di pecorino, mescolare e portare in tavola insieme con l’insalatiera della pajata (che avrete tenuto in caldo) ed il restante pecorino dei quali ogni commensale si servirà.
L’articolo
La regina delle pastasciutte romane. Chi non è di questa città può credere impossibile mangiare il budello non lavato all’interno di un animale. La pajata, per essere commestibile, prevede che l’animale non abbia mangiato da 24 ore prima della macellazione. Il chimo nell’intestino tenue ha quindi avuto il tempo di trasformarsi in chilo e di acquistare un sapore dolce e delicato. Prima impiegavo moltissimo tempo per pulirla, seguendo i sacri dettami della cucina romanesca trasmessimi da mia nonna.
Poi un amico romano, macellaio in pensione ed esperto nel prodotto, mi ha consigliato di non spellarla, lavoro rognosissimo. In effetti, trattandosi di pajata di vitello da latte e dovendola cuocere al tegame, è ragionevole. È bastato aumentare un poco i tempi di cottura per avere un risultato tenerissimo. Per chi non è romano: provatela e mi ringrazierete. Avvertenza: l’interno del budello deve essere bianco, non verde, ed essere, da crudo, dolce al palato. Altrimenti riportatela a chi ve l’ha venduta.