Come tutte le paste senza pomodoro e semplici tipo la cacio e pepe o gli spaghetti con le vongole, anche questa è difficile da eseguire. Il problema si presenta quando bisogna saltare la pasta. Il risultato non deve essere una frittata ma nemmeno l’uovo deve essere crudo.
Non si può però utilizzare il metodo della carbonara e l’esperienza acquisita con quella perché non c’è l’albume ed il tuorlo è diluito con acqua. Vi consiglio di fare così: ungete con pochissimo burro la padella e scaldatela bene. Versatevi la pasta scolata al dente conservando un poco dell’acqua di cottura. Saltate la pasta a fiamma vivace e versatevi dentro il condimento. Dopo un attimo spegnete la fiamma, versate il parmigiano e amalgamate.
Dovete trovare per tentativi il giusto equilibrio. I tempi dipendono anche dalla quantità della pasta, dalle dimensioni della padella e dall’intensità della fiamma.
Nell’immagine della presentazione del piatto la M realizzata con la glassa corrisponde semplicemente all’iniziale del mio nome e non ha ovviamente un significato nostalgico del ventennio.
Questo piatto non deriva da una ricetta di una qualsivoglia cucina etnica, sia pure rimaneggiata ed elaborata. È una pura creazione, ispirata forse dalle cucine tropicali di vari paesi. Gli ingredienti non sono particolarmente esotici e risultano più o meno tutti di facile reperibilità.
Se conservate i gusci delle capesante potete utilizzarle come piatti di portata e risparmiarvi di acquistarle, sostituendole magari con altri tipi di molluschi, che risulteranno più economici e forse di più facile reperibilità.
Se volete potete preparare questa insalata in maggiore quantità e surgelarla, avendo cura di non condirla e di non surgelare il mango. Per gli amanti del piccante potete aggiungere del peperoncino rosso fresco, eliminando semi e filamenti e tritandolo.
Curiosità: le Capesante, dette anche conchiglie di Saint Jacques, si chiamano così perché venivano poste sul mantello (cappa) indossato dai pellegrini che si recavano al santuario di Santiago di Compostela.
In questo periodo ho letto diversi romanzi, ma il libro che mi ha maggiormente colpito, anche da un punto di vista emozionale, è questo saggio di Aldo Cazzullo su Mussolini ed il fascismo, anzi su Mussolini ed i fascisti.
LA TESI DEL LIBRO
In realtà non si tratta propriamente di un saggio, piuttosto del racconto, della cronaca dei crimini compiuti dai fascisti a partire dal loro capo. Il racconto storico/politico non può prescindere, in questo caso, dal resoconto di fatti singoli che svelano la vera natura criminale del fascismo, che ha conquistato e mantenuto il potere attraverso un uso sistematico della violenza, fino all’omicidio. Questa è la tesi di fondo del libro.
L’INCIPIT: UNA BANDA DI DELINQUENTI
“Cent’anni fa, in questi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo. Un uomo capace di tutto, persino di far chiudere e morire in manicomio il proprio figlio e la donna che lo aveva messo al mondo. Oggi in Italia ci sono gli estimatori di Mussolini, pochi ma non pochissimi. Troppi. Poi ci sono gli antifascisti convinti: molti ma non moltissimi. E poi c’è la maggioranza. Che crede, o a cui piace credere, in una storia immaginaria, consolatoria, autoassolutoria. “ Il libro inizia programmaticamente così.
Aldo Cazzullo
IL FASCISMO E LA CONTINUITA’ NELLE ISTITUZIONI REPUBBLICANE
Nella parte finale dello scritto, quella che comunemente viene definita come l’eredità del fascismo, viene approfondita: la maggioranza degli Italiani non sono fascisti ma non sono neanche antifascisti, sulla base di una storia edulcorata, di comodo, orientata a relativizzare il fascismo e a presentarlo fondamentalmente come un movimento politico, un’ideologia e una pratica a volte un po’ maldestra.
Questo saggio di Cazzullo spazza via in maniera definitiva una narrativa che minimizza e riduce a folclore il fascismo. Ma i meriti di questo libro vanno ben oltre.
Innanzitutto rende evidente che la continuità tra lo stato fascista e il primo apparato repubblicano non ha trovato soluzione di continuità generale nello stato democratico. In esso coesistono anche oggi, accanto alle rappresentanze democratiche, istanze post-fasciste che affondano le loro radici nel fascismo criminale del Duce. A volte questa continuità è anche fisica. Si pensi ad esempio alla figura di Almirante, allo squadrismo fascista, agli eredi nostalgici del Movimento Sociale la cui storia si richiama espressamente alla Repubblica di Salò. Questo spiega, a mio avviso, perché alcuni personaggi che ricoprono attualmente alte cariche dello Stato, dichiarano di non voler festeggiare il 25 aprile.
I LUOGHI COMUNI
Cazzullo, poi, demolisce uno a uno i luoghi comuni su Mussolini e il fascismo: ha fatto anche cose buone, ha favorito la crescita demografica, le leggi razziali son state poco applicate, ha avuto un seguito di massa, ecc. In realtà le bonifiche non sono attribuibili solo al periodo fascista e in quel periodo sono morti centinaia di operai di stenti e di malaria. La crescita demografica non c’è stata. La repubblica di Salò ha avuto un ruolo fondamentale nella deportazione degli ebrei Italiani, e gli ebrei, in precedenza erano stati esclusi da tutte le istituzioni pubbliche e persino dalle aziende private. Per quanto riguarda il seguito di massa, fenomeno ben descritto da De felice, non bisogna dimenticare la coercizione operata con tutti i mezzi, pervasiva, fino al punto di non avere diritti, spesso neanche quello di vivere, se non eri fascista.
Aldo Cazzullo
DIGNITA’ PER TUTTE LE VITTIME
Tuttavia il merito maggiore di Cazzullo e quello di aver documentato e descritto, fino alla noia, uno per uno, gli omicidi, le vessazioni, le violenze perpetrate da Mussolini e dai fascisti. Non solo i morti in guerra, non solo don Giovanni Minzoni, Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, Carlo Rosselli, Nello Rosselli, ma tutte quelle vittime poco note a cui il libro restituisce nome e cognome e dignità storica. I contadini, i braccianti, gli attivisti politici di provincia che non vollero chinare il capo.
UNA PROPOSTA
Insomma “ Mussolini il capobanda” andrebbe adottato come libro di testo nelle scuole, andrebbe letto e commentato per il valore che ha. Come riposizionamento della memoria storica di un paese che ha evitato di fare i conti fino in fondo con un potere lordo di sangue e che è durato più di un ventennio.
Altro merito del libro è quello che, specularmente alla riscrittura della storia di Mussolini, getta una luce corretta sul ruolo e il valore della Resistenza, da troppo tempo oggetto di un revisionismo a volte esplicito, a volte strisciante.
Nel 2013 Einaudi pubblica in Italia Polizia, poi riedito quest’anno da RCS (Corriere della sera), in una collana curata da Carlo Lucarelli intitolata: Noir, il lato oscuro delle cose.
Jo Nesbo
LA STORIA
La storia si snoda intorno alle gesta di un serial killer che uccide i poliziotti attirandoli sul luogo di un precedente delitto che non erano stati capaci di risolvere. A metà romanzo, per fermare i delitti, entra nelle indagini Harry Hole, ormai ex poliziotto, che esercita il ruolo di insegnante nella scuola per giovani reclute della polizia.
Per gli amanti del genere noir i romanzi di Nesbo sono un puro godimento e questo “Polizia” è un Nesbo DOC.
Impetuoso, potente, costruito con un “motore giallo” perfetto. A metà della lettura delle 600 pagine di cui è composto sei convinto di avere tutti gli elementi per capire chi è l’assassino, salvo dopo una ventina di pagine, essere clamorosamente smentito. La stessa cosa si ripete per quattro cinque volte e solo alla fine è svelato il volto del vero assassino… naturalmente da parte di Harry Hole.
ELEGIA DEL MALE
Come in tutti i noir di Nesbo il male aleggia in ogni riga del racconto. Anche se questa volta non comporta l’angoscia assoluta come in “Macbeth”e non ha il volto del tradimento come regola di vita come ne “Il fratellino”.
“Il male non esiste perché tutto è malvagio. Lo spazio è oscuro. Nasciamo cattivi. Il male è il fondamento, la condizione naturale. Poi, di tanto in tanto, compare una luce piccolissima. Ma non è che un fatto momentaneo, dobbiamo tornare nell’oscurità.” (Polizia. Ed RCS, pag 27).
E’ interessante, e questo apre già uno spiraglio, questa identificazione del male con il buio. Il bene è luce è trasparenza, il male è intrigo nascosto, ombra e occultamento.
Il linguaggio è crudo, spesso mutuato da una sorta di lingua professionale della polizia, in generale degli addetti alla sicurezza. Questo linguaggio diventa particolarmente forte se si tratta di descrivere magistralmente il carcere.
Copertina
IL CARCERE “GASTRO-INTESTINALE”
“Le aprirono, lei mostrò il tesserino di riconoscimento e l’autorizzazione per la visita che aveva ricevuto via e-mail e, un varco dopo l’altro, si addentrò nella magione. Una guardia carceraria l’aspettava a gambe larghe, braccia conserte e con le chiavi tintinnanti. Ostentava più baldanza e sicurezza del solito perché la visitatrice era della polizia, la casta braminica dei tutori dell’ordine, quelli che inducono immancabilmente le guardie carcerarie, i vigilantes e perfino gli ausiliari del traffico a compensare in modo eccessivo con la gesticolazione e il tono di voce. Katrine si comportò come faceva sempre in situazioni simili: fu più gentile e affabile di quanto la sua indole le dettasse.
-Benvenuta nella fogna – le disse la guardia, una frase che Katrine era abbastanza sicura non usasse con i visitatori abituali ma avesse escogitato preventivamente, una dichiarazione che rivelava la giusta combinazione di humor nero e di cinismo pragmatico nei confronti del suo lavoro. Però, tutto sommato, quell’immagine non era male, pensò mentre percorrevano insieme i corridoi del carcere. O forse sarebbe stato meglio chiamarlo apparato gastro-intestinale. Il luogo dove la digestione della legge riduceva i suoi individui condannati a una massa marrone puzzolente che a un certo punto doveva essere riespulsa. Tutte le porte erano chiuse, i corridoi deserti.” (Polizia Ed RCS pagg. 110-111).
Il pane zichi è un tipo di pane karasau (sardo) tipico di Bonorva. Come per il pane karasau si pone una schiacciata in forno e si fa cuocere finché non si gonfia. Il pane karasau si taglia subito in orizzontale e si vendono le due metà. Quello zichi si vende intero. È molto più spesso del karasau e quindi adatto ad essere cotto e condito come si trattasse di pasta.
La ricotta mustia, altro prodotto tipico della Sardegna, è una ricotta salata e leggermente affumicata.
Oggi, grazie allo sviluppo dell’e commerce ed al conseguente calo dei costi della spedizione di merci, è possibile procurarsi questi prodotti rimanendo comodamente a casa propria.
Secondo me il sugo finto romano è molto più adatto in questa preparazione del sugo semplice di pomodoro che si userebbe in Sardegna. Comunque la preparazione di questo piatto è analoga a quella di una pastasciutta.
Dopo una lunga pausa, in cui l’attività pratica e le vacanze hanno preso decisamente il sopravvento sulla lettura e la scrittura, vi propongo un libro impegnativo, sulla scia dei quel settembre che, come dice il maestro Guccini, è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età, dopo l’ estate porta il dono usato della perplessità.
Copertina Berta Isla
TOMAS NEVINSON E BERTA ISLA
Dopo “Berta Isla” Marias pubblica, nel 2021,“Tomas Nevinson” (uscito i Italia nel 2022) che è la continuazione della storia precedente che a sua volta costituisce il seguito della triologia dal titolo “il tuo volto domani” (“Febbre e lancia” – “Ballo e sogno” – “Veleno e ombra e addio”). La triologia è un’opera monumentale, di circa mille pagine. E’ un’opera straordinaria per quante cose dice sulla vita, sulle tante vite che si possono potenzialmente avere. E’ un appassionante cavalcata di rivisitazione delle verità scomode, come ad esempio la violenza che alberga anche negli individui più miti.
Tomas Nevinson
ADDIO A MARIAS
Nevinson è definitivamente il suo ultimo libro, perché Javier ci ha lasciato pochi giorni fa, domenica 11 settembre.
Spesso —aveva detto in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2019— penso a chi è morto come qualcuno che da tempo non vedo, niente di più. Non si cancellano i sentimenti, l’amicizia, per l’“accidente” che una creatura amata sia scomparsa. Si continua a tenerla presente, si continua a contare su di lui o su di lei. Non solo nel passato, nel presente. Diciamo che i morti lasciano una traccia e che questa traccia è a volte interminabile, ci accompagna per il resto delle nostre vite».
Marias non ha bisogno di presentazioni. Considerato uno degli autori più importanti al mondo. Conosciuto anche in Italia, soprattutto per il racconto dal titolo “domani nella battaglia pensa a me” ( titolo scespiriano). (Per coloro che non l’avessero letto è un magnifico modo per fare conoscenza con questo autore, romanzo dotato dell’incipit più bello che abbia mai letto.)
L’ESPLORAZIONE DELL’IGNOTO
Come in tutta la sua produzione, Marias, in Tomas Nevinson esplora l’ignoto, l’imprevisto, descrivendo la realtà parallela di ciò che sarebbe potuto accadere. Prende spunto da episodi di terrorismo reali, per mano dell’Eta e dell’Ira. Ci porta magistralmente nel mondo di quello che saremmo potuti essere e nella dimensione che nascondiamo anche a noi stessi. Ci porta nel mondo della finzione, della menzogna (perché tutti mentono), per evidenziare quanto il discrimine tra la recitazione di una parte e la vita reale sia sottile. “Si può nascondere quasi tutto, la gente crede di no, ma in realtà non ci vuole nessuna abilità particolare, siamo tutti impenetrabili e opachi per natura e la menzogna è invisibile “ (T. Nevinson pag 65).
Non si creda che nella menzogna ci siano solo vite disperate o scellerate, non si creda che nella finzione si viva senza etica. Al contrario è proprio una condizione estrema che porta alle domande sul significato della vita, sul valore delle relazioni umane. Ad esempio ci si chiede se non ci siano situazioni in cui la morte sia auspicabile, anche quella determinata da un omicidio ( si pensi, come fa Marias, alla possibilità reale avuta da un certo Reck-Malleczewen di sparare a Hitler in un ristorante, azione che avrebbe risparmiato milioni di vite umane. (…uccidere non è un atto così estremo né così difficile e ingiusto se si sa chi deve essere ucciso, quali delitti ha commesso o annuncia di voler commettere, quanto male sarà risparmiato con la sua morte, quante vite innocenti si salveranno al prezzo di un solo sparo, di uno strangolamento o di tre coltellate, è questione di pochi secondi ed è fatta… e tuttavia il primo passo costa.” (T.Nevinson pag. 22).
Tomas Nevinson
LA CONSIDERAZIONE DELLA MORTE E IL CINISMO DELLA GUERRA
Il tema della morte campeggia in tutto il romanzo, che è la storia di un assassinio “a fin di bene” deciso a tavolino da esponenti dei sevizi segreti britannici e spagnoli. La morte come evento rispetto al quale si ha il massimo dell’impotenza. “…le persone si sentono spinte a fare qualcosa, qualunque cosa, anche se non serve a nulla. Sono come gli amici e i parenti che coprono di fiori il feretro di un morto che non può più vederli né sentirne il profumo, o che gli parlano o gli scrivono bigliettini o lettere sapendo che ormai non può più udire né capire. La gente crede di dover stare accanto a chi ormai non necessita più né apprezza nessuna compagnia, e così facendo si confortano e si fanno compagnia i vivi, e in parte si consolano – anche – trattando con colpevole superiorità e condiscendenza il defunto, e mormorando poverino o poverina. (Ciò che invece merita ciascuno è un lento chiudersi di scuri).”
Sappiamo che questa visione cinica della considerazione della morte è un modo per sconfiggere i luoghi comuni, per mettere in ridicolo le abitudini sociali e far risaltare il valore della memoria delle persone che si sono amate e non ci sono più. Per rivendicare una certa intimità del dolore.
A proposito di cinismo c’è un passaggio sulla guerra che disvela la logica aberrante di questo strumento per la risoluzione dei conflitti. “La quantità induce la peggiore delle perversioni: sminuire la gravità di ciò che è gravissimo, per questo da un certo momento in poi non vengono più contati i caduti di una guerra, almeno mentre la guerra dura e continua a fare morti. E talvolta i responsabili prolungano inutilmente i conflitti proprio per questo: perché non si comincino a contare i morti che peserebbero sulle loro spalle.” (T. Nevinson pag. 80).
Sempre in tema di conflitti, dopo aver esortato allo studio della storia, perché le cose che succedono sono delle varianti di quello che è accaduto in passato, Marias scrive: “La crudeltà è contagiosa. L’odio è contagioso. La fede è contagiosa…Si trasforma in fanatismo alla velocità del lampo…”
Manifesto
IL POTERE AGLI IMBECILLI
C’è anche un passaggio di bruciante attualità sulla selezione al ribasso della classe dirigente e sui limiti della democrazia, che suona come un monito beffardo, difronte al quale si è impotenti come nei confronti della morte, e ci porta dentro i meccanismi torbidi del potere. “Il mondo finisce sempre in mano a individui difettosi e tormentati, è incredibile quanto le masse siano affascinate da ogni genere di anomalia, mentale o fisica. Deformità e risentimento, crudeltà e follia, sono cose che catturano e suscitano entusiasmi per un po’, finché gli entusiasti ci ripensano, si pentono in privato e in pubblico negano i loro entusiasmi passati. Immagino che molti siano conquistati da questa idea: se un simile imbecille è in grado di governare, potrei farlo anch’io; unita a quest’altra: un mostro si è impadronito del paese, che colpa ne abbiamo noi?” (T. Nevinson pagg. 71 e 72).
Nel testo ritorna, quasi ossessivamente, il fantasma di Hitler, per non dimenticare e per evidenziare che i meccanismi finiscono per essere sempre gli stessi. “…a volte proprio le possibilità più remote si fanno strada e si impongono e invadono tutto lo spazio, senza che uno sappia come sia potuto accadere. Chi mai avrebbe immaginato che il bambino di Braunau, l’aspirante pittore, il soldato mediocre, il capo di un partito marginale di picchiatori ed energumeni, il corpo immondo che odiava se stesso, avrebbe finito per diventare Cancelliere del Reich, per citare l’esempio più lampante e più estremo delle catastrofi improbabili. (T. Nevinson pag.438)
Tomas Nevinson
UCCIDERE UNA DONNA
La storia intorno alla quale è costruito un edificio di riflessioni sul discrimine labile e persino discutibile, tra bene e male e tra lecito e illecito, racconta la ricerca, da parte di un agente segreto di una donna che aveva preso parte 10 anni prima ad alcuni attentati dell’Eta e dell’Ira.
Quindi non si tratta, all’occorrenza, solo di uccidere, ma di uccidere una donna. Nevinson dice, con malcelata ironia: “ho avuto una educazione all’antica e, non avrei mai creduto che un giorno mi si potesse ordinare di uccidere una donna.”
Si è affermato come questo romanzo sia il sequel di Berta Isla, tuttavia si può tranquillamente leggere da solo, così come tutta l’opera di Marias, che è, in qualche modo, un continuum. La letteratura di Marias, perché siamo difronte a pura letteratura, così come la filosofia di Kant è stata definita la filosofia del limite della ragione umana, può essere definita la letteratura del limite e dell’ambiguità del reale. E’ per questo che non bisogna cedere al conformismo, alle semplificazioni e alle spiegazioni più ovvie. La realtà presenta molti livelli di possibili letture.
Infine, chiudiamo questo che vuole essere un piccolo tributo a un grande autore, con l’auspicio che a Marias venga attribuito il nobel per la letteratura, anche se postumo.
Ciao Javier, la tua traccia ci accompagnerà per il resto delle nostre vite.
Un piatto tipicamente romano a cominciare dal nome. Io sono romano e quindi utilizzo moltissimo il prosciutto crudo in cucina.
Nei casi in cui non serva per estetica la fetta intera potete utilizzare dei ritagli. Nel caso acquistiate il prosciutto intero l’ideale sono le parti vicino all’osso. Oggi molti negozi, ed anche supermercati, vendono a prezzo più basso le parti finali dei prosciutti che affettano.
Si possono condire con questa salsa anche gli spaghetti, che in questo caso vengono chiamati spaghetti alla papalina.
Una interessante variante estiva si ottiene servendo questa pasta coperta di foglie di basilico spezzettate. Variante estiva per modo di dire perché ormai la disponibilità di quest’erba da cucina c’è per tutto l’anno o giù di lì.
È una pasta molto locale: la trovate quasi esclusivamente a Roma e provincia. Anche qui non è molto diffusa.
Il pesce bollito è una preparazione solo apparentemente semplice. Innanzitutto il court bouillon, cioè il brodo ristretto in cui cuocere il pesce è essenziale per conferire aroma, soprattutto se il pesce potrebbe essere non freschissimo oppure surgelato. A fine cottura potrete passare al colino lo stesso ed utilizzarlo per preparare una minestrina di pesce.
Lo stato di cottura si verifica provando ad estrarre la prima spina della cresta dorsale: quando viene via il pesce è cotto. Non provate però molte volte perché finirete per estrarla comunque.
Per la cottura il pesce va preparato togliendo le squame e le interiora. Per queste ultime praticate una incisione dalla cavità anale verso l’alto arrivando fino al punto in cui si dipartono le due pinne pettorali. Non è necessario arrivare oltre e rimuovere le branchie. Quello si fa solo se dovete preparare un pesce ripieno.
Per pulire il pesce armatevi di pazienza: deponetelo su di un vassoio ed operate con coltello e forchetta. Rimuovete dapprima la pelle della metà rivolta verso di voi. Poi distaccate la cresta dorsale e quella pettorale. Praticate quindi una incisione longitudinale separando il filetto superiore da quello inferiore. Deponete su di un altro vassoio i due filetti tenendo presente che quello inferiore conterrà ancora le spine addominali. Quindi togliete testa e lisca, girate il rimanente, rimuovete la pelle dell’altro lato e liberate gli altri due filetti. Dedicatevi ora alla testa, tenendo presente che se il pesce è grande vi è una quantità di polpa squisita, per esempio nelle guance e nella nuca.
Questa preparazione ha due possibili utilizzi. Può, così come è presentata, essere utilizzata per guarnire dei crostini da servire come antipasto. Oppure può essere utilizzata, aggiungendo una maggior quantità di pelati, per realizzare un sugo da usare per condire la pasta.
Se avete già preparato il paté e ve ne avanza, potete utilizzarlo per la pasta aggiungendo un sugo di pomodoro semplice, all’aglio o alla cipolla, In questo caso guarnite alla fine con delle foglie di basilico e saltatevi la pasta aggiungendo parmigiano grattugiato.
Potete anche utilizzare delle olive verdi di buona qualità, tipo olive taggiasche, ma il miglior risultato si ottiene con le olive nere.
Potete servire un antipasto di crostini misti, utilizzando questo paté insieme con altri acquistati o preparati da voi. Le fette di pane, in cassetta od altro, tenetele in forno per una decina di minuti per bruscarle. L’ideale è utilizzare il grill senza girarle, in modo che si bruschino da un solo lato. Poi spalmerete i paté sul lato non bruscato.
Ricordatevi di guarnire con un componente diverso per distinguere i crostini, utilizzando poer esempio capperi, mezze olive snocciolate, fettine di cetriolini, quarti di pomodorino, pezzetti di limone ecc.
È un piatto concepito per l’estate con ingredienti, come i cipollotti freschi, estivi. Chiaramente da servire per cena con un clima non troppo caldo. La panna acida potete procurarvela in qualche negozio di alimentari rumeni, i quali stanno fiorendo un po’ dappertutto.
Bisogna ridurre la parte liquida del fondo di cottura, perché la birra deve essere aggiunta in quel quantitativo, per ottenere la giusta dose di amaro del luppolo e di sapore di lievito. Va ridotta alla fine e non aggiungendo birra già ridotta perché, a seconda dell’intensità della fiamma e di quanto liquido rilasciano la carne ed i cipollotti, si potrebbe averte un risultato troppo liquido o troppo asciutto.
Si deve adottare l’indicazione di ridurre la parte liquida del fondo di tre quarti cum grano salis: bisogna regolarsi ad occhio per ottenere il risultato desiderato. È comunque un piatto che non consiglio a chi è alle prime armi in cucina.
Il piatto si ispira ad una cucina nord europea, visti una serie di ingredienti come la birra, la panna acida, la paprika, il burro. L’impiego dei capperi grossi bilancia in parte queste caratteristiche, rendendolo un piatto semplicemente europeo.
Si potrebbero usare anche dei capperi piccoli, i soliti, ma quelli grandi, privati del picciolo con cui comunemente si vendono, risultano più visibili e contribuiscono alla riuscita estetica del piatto.
Laureato in filosofia - Ex professore di Lettere - Ex operatore culturale presso il Comune di Roma - Attualmente lavoro in un campeggio: gestione dei computer, realizzazione e manutenzione di impianti elettrici e idraulici, gestione del porticciolo, fotografia, video, DJ.