Il mare non bagna Napoli

ANNA MARIA ORTESE – ADELPHI – IL MARE NON BAGNA NAPOLI

di Giuseppe Santilli

Anna Maria Ortese
Anna Maria Ortese

Il mare non bagna Napoli è una raccolta di cinque racconti brevi: “Un paio d occhiali”, “Interno familiare”, “Oro a forcella”, “La città involontaria” e “Il silenzio della ragione”.

Anna Maria Ortese è  nata a Roma nel 1914, napoletana di adozione. Ella visse per tanti anni a Napoli, fino alle polemiche suscitate da questo libro, pubblicato da Einaudi nel 1953 con la prefazione di Elio Vittorini.

Il mare non bagna Napoli fu giudicato uno scritto contro Napoli e il modo di essere dei suoi abitanti, fino al punto che l’autrice fu in qualche modo costretta ad abbandonare la città. Inoltre nell’ultimo racconto “il silenzio della ragione”  l’Ortese descrive impietosamente le vite, le paure e le bassezze umane dei suoi compagni intellettuali componenti il “gruppo sud”. Qui viene rintracciato il seme dell’ingratitudine per le persone che l’avevano accolta. La stessa Ortese nel 1994, scrive una breve prefazione alla raccolta, presente nell’edizione qui proposta, in cui in parte respinge le accuse. In parte però si giustifica, attribuendo un presunto eccesso di corrosività dei suoi scritti, a una sorta di nevrosi che la portava, a guerra finita, a rifiutare una realtà di macerie e devastazione.

Anna Maria Ortese
Anna Maria Ortese

A dire il vero, oggi dopo tanti anni, il mare non bagna Napoli appare come un piccolo capolavoro. Esso è composto da cinque gemme la cui cifra consiste in una febbrile rivolta contro una condizione di miseria materiale e morale.

Descrizione dei racconti

Il primo racconto “un paio di occhiali” è ambientato in un basso di Napoli. È la storia dell’acquisto di un paio di occhiali per una bambina fortemente miope. Al di là di essere una fonte di benessere per la bimba, gli occhiali sono l’occasione per scatenare un diluvio di cattiveria e di meschinità, di sporcizia morale, che non risparmia nessuno dei personaggi. Qui si manifesta in forma esplicita uno dei fili conduttori di tutta la raccolta: nella povertà non c’è niente di umano e di romantico. I buoni sentimenti non abitano nelle case dei poveri, frequentate, per condizione e cultura, da sentimenti abietti. Decisamente in controtendenza rispetto all’ottimismo buonista imperante negli anni Cinquanta.

La povertà non fa sconti, non concede pause al sorriso e alla bellezza, né a momenti di gioia occasionale. La bambina miope (brutta e cecata) vive in un antro semi buio dove il mondo esterno con la sua luce può essere al massimo immaginato.

Per il clima che il racconto ci restituisce sarebbe interessante indagare sull’ipotesi che questo scritto abbia potuto influenzare la sceneggiatura del film “brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola. Questo è uscito nel 1976 e, mutatis mutandis, ambientato nella periferia romana.

Il secondo racconto “interno familiare” è la descrizione del pranzo di Natale di una famiglia piccolo-borghese (commercianti). Predomina la pacatezza, o meglio, un senso di tristezza moderato, senza disperazione. Nella vita di Anastasia, che è la protagonista, l’amore è solo l’illusione di un attimo. Esso è una chimera destabilizzante a cui si può concedere solo lo spazio di un pensiero fuggente, per tornare subito alla piatta normalità di sempre.

Anna Maria Ortese
Anna Maria Ortese

In “oro a forcella” il protagonista è il quartiere di forcella, con il suo brulicare di gente, la sua vitalità e il perenne chiacchiericcio. Anche qui, tuttavia, i veri protagonisti sono i poveri, i loro bambini, i loro sotterfugi per sopravvivere e il loro eccessivo proliferare (i figli sono l’oro della gente di forcella).

Straordinario era pensare come, in luogo di diminuire o arrestarsi, la popolazione cresceva, ed estendendosi, sempre più esangue, confondeva terribilmente le idee dell’Amministrazione pubblica, mentre gonfiava di strano orgoglio e di più strane speranze il cuore degli ecclesiastici. Qui il mare non bagnava Napoli.” (A.M. Ortese – il mare non bagna Napoli).

La città involontaria” non è un vero e proprio racconto, anche se ne mantiene la forma narrativa. In realtà si tratta di un crudo reportage di denuncia sulla vita nei Granili. Questo è un edificio lungo circa 300 metri, una vergogna della Napoli di quegli anni.

Si passa da una vita appena dignitosa per gli abitanti dei piani alti, alla totale assenza di speranza e di possibilità di riscatto per coloro che abitano i piani bassi. La povertà si sposa con il buio. La povertà produce solo aberrazione accompagnata dalla totale scomparsa di valori. Lo scritto è pervaso da un profondo senso di rassegnazione e di pietà per la povera gente dei Granili.

Questo edificio ospitava circa tremila persone distribuite in 570 famiglie, un mostro che la Ortese con “la città involontaria” contribuì a fare smantellare.

L’ultimo racconto “il silenzio della ragione”, credo possa essere considerato il suo capolavoro. Ma anche, come abbiamo accennato all’inizio di questa nota, il motivo della rottura del suo rapporto con la città e di quello con gli intellettuali che la animavano.

Per quanto riguarda Napoli è descritta mirabilmente come un luogo di corruzione e di morte.

Da Portici a Cuma, questa terra era sparsa di vulcani, questa città circondata di vulcani, le isole, esse stesse antichi vulcani; e questa limpida e dolce bellezza di colline e di cielo, solo in apparenza era idilliaca e soave. Tutto, qui, sapeva di morte, tutto era profondamente corrotto e morto e la paura, solo la paura, passeggiava nella folla da Posillipo a Chiaia. “

Anna Maria Ortese
Anna Maria Ortese

E’ un grido contro la leggerezza, la superficialità e la rassegnazione che s’impadronisce della città nel secondo dopoguerra. Esaurito l’entusiasmo determinato dall’arrivo degli americani, in pochi anni si crea una disillusione collettiva, un’acritica accettazione della realtà sociale.

Questa disillusione, secondo la Ortese, coinvolge anche i suoi amici, compagni, del “ Gruppo sud”.

Prumas, Rea, Compagnone, Pratolini, son chiamati per nome e cognome e sono descritti come oramai un gruppo di rancorosi, disillusi, in cerca di fortuna e di fare carriera. Inoltre viene stigmatizzato il loro rapporto con le proprie compagne, caratterizzato da un sentimento di superiorità e quasi di disprezzo, quasi fossero un male necessario.

Stilisticamente il racconto, privo di una trama, si esaurisce in una passeggiata prima in tram e poi a piedi. Il disordine della città di Napoli fa da sfondo alla cialtronaggine e alla rassegnazione degli intellettuali napoletani.

Conclusioni

Questa raccolta, una perla rara nel panorama culturale Italiano, per bellezza, profondità e coraggio, rintracciabile a tale livello successivamente solo in Pasolini, è la dimostrazione come in letteratura, ma non solo, un estremo atto di amore possa essere fragorosamente frainteso.

Pasolini
Pasolini

Ed io, quindi, non ritengo Il mare non bagna Napoli un libro contro, ma su e dentro questa città, tanto necessario ieri quanto oggi e domani. È il fondamento su cui si poggia la narrazione odierna di Napoli, e forse ci servirà ancora del tempo per capirlo.” (Alessio Forgione – Corriere della Sera/Cultura del 16 giugno 2020).

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