La coda alla vaccinara è uno dei piatti più tipici, più intimamente romani. Piatto diffuso nelle trattorie a Testaccio, vicino all’ex mattatoio, come Turiddu, che ora non esiste più, dove l’ho mangiata per la prima volta. L’ho poi rimangiata, sempre a Testaccio, alla piazza del mercato, da Felice.
Questa trattoria merita una due parole. Mi ci ha portato per la prima volta un mio amico che aveva lavorato come elettricista al teatro dell’opera. Era infatti un locale frequentato da gente del mondo dello spettacolo e da operai del quartiere. Felice era un vero personaggio: prendeva le ordinazioni brontolando, ciabattava con i piedi piatti verso la cucina, era brusco e ti portava quello che voleva lui. Quando una volta gli hanno chiesto cosa ci fosse come dolce, ha risposto: ” A vòi ‘na bustina de zucchero?”.
Da Felice si entrava solo su presentazione. Volevo portarci mio figlio ed ho chiesto al farmacista lì vicino che mi ha consigliato di andarci a suo nome. Ho visto personalmente mandare via dei clienti che volevano entrare, con la sala praticamente vuota, solo perché lui non li conosceva. Però si mangiava la vera cucina romanesca come a casa propria. Oggi a piazza del mercato il mercato non c’è più. Felice è morto. Il locale è stato ereditato credo dai figli. Si mangia sempre bene ma non è più la stessa cosa: il tempo passa e le cose belle se ne vanno. Ma forse questo lo dicono sempre i vecchi come me.
La coda è detta anche la regina del quinto quarto. Il bovino si divide in quattro quarti, due anteriori e due posteriori. La lingua, la coda e le interiora costituiscono il cosiddetto quinto quarto, un tempo appannaggio dei poveri perché si trattava di carne che costava poco. Oggi per comprare la pagliata o la coda bisogna vendere un rene al mercato nero. Se non ci credete andate ad ordinarla al macellaio alla piazza del mercato a Testaccio, dove mi servo io.
P.S. Da notare che il cacao non è una delle solite variazioni dell’estroso Massimo ma fa parte della ricetta originale, risalendo probabilmente molto indietro nel tempo, a prima dell’utilizzo del cioccolato come dolce.